“Solo il nucleare potrebbe salvare il pianeta”. Così scrivono Staffan A. Qvist e Joshua S. Goldstein sul The Wall Street Journal. Il primo professore emerito alla University of Massachusetts. Il secondo ingegnere energetico fondatore della società di consulenza Qvist Consulting Limited. Entrambi autori del libro A Bright Future, How Some Countries Have Solved Climate Change and the Rest Can Follow.
Partiamo dal presupposto che se entro 30 anni non riduciamo di netto i consumi di energia da fonti fossili, le ripercussioni sul pianeta sarebbero disastrose. L’unione europea ci sta lavorando (forse lentamente), e la stragrande maggioranza degli scienziati del settore sono concordi, nonostante alcuni politici a livello globale. Tuttavia, al momento, nel pianeta l’80% dell’energia primaria consumata è fossile (petrolio, carbone e gas naturale).
Tra le tre fonti fossili, il carbone è quello più inquinante, soprattutto in termini di CO2. E allora la priorità diventa la decarbonizzazione. Le rinnovabili sono fondamentali in questo senso. A livello globale coprono ancora una piccola parte dell’energia primaria consumata, ma gli investimenti – anche in impianti di dimensioni e potenze inimmaginabili – crescono di anno in anno. E devono crescere. Le efficienze e le tecnologie rinnovabili sono migliorate esponenzialmente, e si potrebbe pianificare un mondo rinnovabile a breve. Sarà bellissimo.
Ma c’è un però. Quando sarà possibile consumare solo energia rinnovabile sarà troppo tardi. La soluzione al riscaldamento globale serve adesso. E una possibile soluzione ad integrazione delle rinnovabili – come dicono gli autori ad inizio articolo – potrebbe essere il nucleare.
Sappiamo benissimo che il nucleare è percepito come rischioso. Naturalmente eventi come Fukushima ci hanno colpito. Non sarebbero dovuti accadere. Ma sappiamo anche che ci sono impianti di nuova generazione più sicuri, tecnologie innovative, tantissima ricerca in corso. Abbiamo imparato a stoccare le scorie. Conosciamo dei casi di successo di paesi che hanno deciso – da sempre – di investire nel nucleare.
Il nucleare potrà non essere il futuro, ma deve essere il presente. In sostanza è questo che affermano nell’articolo i due tecnici del settore. Rimane l’incognita, secondo il mio parere, dei lunghi tempi di costruzione delle centrali. Vogliamo investire tempo e denaro in qualcosa di cui la gente ha paura? Vogliamo investire risorse in qualcosa che in futuro, quando sarà funzionante, potrebbe non servire?
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