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Food waste and loss, prevenzione e conversione energetica

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Ogni anno, l’ Unione Europea stima la produzione di 88 milioni di tonnellate di cibo di scarto (food waste). Questa mole di spreco, ha un valore economico stimato di 143 miliardi di euro, stando alla Commissione Europea. Da un punto di vista ambientale, richiede 250 km3 e occupa il 30% dei terreni coltivabili globalmente, intaccando le risorse necessarie ad agricoltura ed allevamento.

Food waste e food loss

Innanzitutto, è importante definire il “tipo” di spreco alimentare, che viene classificato come food waste o food loss in base alla sua origine.

  • Food waste: si riferisce allo spreco di cibo a livello di end of chain, cioè  l’abitudine di consumatori e rivenditori di gettare cibo ancora edibile. Infatti, si butta cibo prossimo alla data di scadenza o non visivamente appetibile al consumatore, sebbene egualmente sicuro e nutriente.
  • Food loss: riguarda gli sprechi che avvengono lungo la catena di produzione, dal coltivatore al rivenditore. E’ dovuto alla generazione di scarti durante le fasi di coltura/allevamento, trasporto e lavorazione del cibo e spesso risulta inevitabile.

Lo spreco di cibo risulta, quindi, un fenomeno globale che avviene a più livelli, studiato e combattuto a livello internazionale.

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Food waste index

Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) è un’organizzazione internazionale che si occupa di studi dei cambiamenti climatici e intraprende azioni per la tutela dell’ambiente e l’uso sostenibile delle risorse naturali. Visto l’impatto, ambientale ed etico, degli sprechi alimentari, ha realizzato il Food Waste Index report. Nella sua versione più recente, si propone di quantificare gli sprechi e fornire strumenti ai paesi per raggiungere l’obiettivo di riduzione degli scarti del 50% entro il 2030. Tale indice, è caratterizzato da una metodologia di analisi su tre livelli:

  • Primo livello: Si basa su modelli di previsione degli scarti, andando ad estrapolare dati da vari paesi per poi fornire una stima delle perdite per ogni settore.
  • Secondo livello: Si effettua una misura quantitativa degli scarti, andando a fornire dati primari per il tracciamento degli sprechi su base nazionale.
  • Terzo livello: Fornisce un’analisi più puntuale, fornendo dati su caratteristiche degli scarti.

Prevenzione degli sprechi

Considerando che ogni anno, una persona getta in media nel mondo 73 kg di cibo, vi è un ampio margine di miglioramento. Infatti, l’educazione del consumatore può fare una grande differenza, poiché basta seguire semplici linee guida:

  • Fare la spesa dopo aver mangiato, riducendo acquisti fatti “per gola” e non per necessità
  • Cucinare giuste quantità di cibo
  • Acquistare  frutta e verdura non in base al valore estetico, per indurre i rivenditori a presentare sugli scaffali ortaggi “imperfetti” ma ugualmente nutritivi
  • Tenere bene a mente, prima di fare spesa, di ciò che si ha già in casa
  • Non buttare cibi prossimi alla data di scadenza, ma verificare se effettivamente non sono più edibili

Considerazioni analoghe, possono essere fatte per i settori della ristorazione e dell’ospitalità, i quali dovrebbero incentivare l’utilizzo di doggy bags, per far portare a casa agli ospiti gli avanzi. Inoltre, gli eccessi di prodotti cucinati da ristoranti, hotel e supermercati, possono anche essere destinati ad associazioni di beneficenza.

Conversione energetica

A prescindere dalle misure adottate, un azzeramento degli scarti alimentari urbani risulta quasi impossibile da raggiungere. Pertanto, conviene sfruttare il cibo buttato per produrre energia, andando a minimizzare la quantità destinata alla discarica. Da un punto di vista energetico, bruciare direttamente la biomassa residua, non è conveniente, in quanto ha un potere calorifero basso, contiene un’elevata percentuale di umidità ed è eterogenea. Quindi, dopo una adeguata separazione, è preferibile destinarla a trattamenti che ne incrementino il PCI quali:

  • Pirolisi, processo di decomposizione termochimica, che prevede il riscaldamento, della biomassa tra i 400°C e 800°C , in assenza di ossigeno. Tale trattamento, in base a temperature e tempi di permanenza in caldaia, fornisce in uscita syngas, char(carbone) e oli.
  • Gassificazione, processo termochimico, prevede l’ossidazione parziale della biomassa a temperature intorno ai 1000°C in deficit di ossigeno. I prodotti di tale trattamento sono analoghi a quelli della pirolisi, ma si ha una maggiore quantità di syngas(oltre il 70%).
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Tali prodotti, hanno PCI più elevati della biomassa di partenza, e possono essere impiegati più facilmente in impianti termici. Infatti, tutti questi prodotti sono adatti a bruciare in caldaia, ma gli oli possono essere impiegati anche in Diesel lenti, mentre il syngas può alimentare un ciclo TAG. Tramite ulteriori trattamenti chimici, è possibile ricavare idrogeno e biocombustibili, quali biodiesel, che hanno caratteristiche ancora migliori, oltre che un più ampio campo di impiego.

Articolo a cura di Michele EUGENI