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Carbon Capture & Storage o sistemi CCS – novità e sviluppi futuri – Parte II

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Courtesy of Statoil

È già capitato al nostro network di affrontare il tema del Carbon Capture & Storage (CCS – oppure cattura e stoccaggio geologico dell’anidride carbonica). Trattasi di sistemi tecnologici innovativi che permettono di assorbire (prima), e trasportare e confinare in formazioni geologiche profonde (poi) l’anidride carbonica prodotta da qualsivoglia processo industriale.

Tuttavia è nostro grande piacere pubblicare la seconda parte dell’intervista a uno dei maggiori esperti europei: l’ingegner Sergio Persoglia. Già Direttore del Dipartimento di Geofisica della Litosfera e responsabile delle Collaborazioni Internazionali dell’OGS, nonché Network Manager e, adesso, Segretario Generale di CO2GeoNet, il Network Europeo di Eccellenza sul confinamento geologico della CO2.

Abbiamo cercato, grazie al suo aiuto, di approfondire ancora meglio il tema: i sistemi CCS. Prima di continuare, se non l’avete già fatto, andate a leggere la prima parte dell’intervista. L’ingegner Persoglia ci ha raccontato i progetti esistenti e quelli futuri, tra sfide e opportunità. 

Come è possibile scegliere un sito geologico idoneo allo stoccaggio di CO2? E quanti ce ne sarebbero teoricamente nel mondo e in Europa? 

Occorre considerare che la CO2 è un gas e, quando viene compressa, passa allo stato liquido, riducendo di molto il suo volume. Per confinarla occorre dunque pomparla in uno strato di rocce porose ad una profondità di almeno 1000 metri (in modo che la pressione la mantenga nello stato liquido), sovrastato da altre rocce impermeabili che impediscano alla CO2 di risalire. Per accertarsi che questa situazione sia abbastanza estesa da immagazzinare la quantità prevista di CO2 (dell’ordine di milioni di tonnellate) si eseguono molte indagini da superficie che consentono di ottenere immagini degli strati in cui la CO2 verrà confinata.

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Una direttiva europea, trasposta poi nella legislazione italiana, chiarisce quali sono le indagini preliminari obbligatorie che possono richiedere anche diversi anni per essere eseguite. Molti studi hanno mappato le formazioni adatte al confinamento che sono presenti direi in tutto il mondo. Il progetto Europeo GeoCapacity ha concluso nel 2009 che le formazioni ritenute adatte al confinamento in Europa potrebbero teoricamente immagazzinare tutta la CO2 prodotta da attività industriali nell’arco di 62 anni.

Quali sono (o potrebbero essere) le conseguenze più gravi sull’ambiente? C’è un’analisi del rischio in fase di progetto e sviluppo di un sito CCS?

Il rischio di gran lunga maggiore è che si continui a rilasciare in atmosfera la CO2 prodotta dalle attività industriali. Se lo si vuole evitare è necessario non produrre CO2 o confinarla negli oceani (ma da qui rientrerebbe in atmosfera) o in formazioni geologiche profonde e adatte.

La CO2 viene prodotta quando si produce energia bruciando idrocarburi (carbone, olio o gas) e qui si può intervenire producendo invece energia da fonti rinnovabili (sole, vento, bacini idroelettrici, maree). La CO2 viene però anche prodotta nei cementifici, nelle acciaierie, in impianti chimici ed in questi non si può far altro che usare le tecniche CCS.

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Quando la CO2 viene confinata, occorre selezionare bene i siti, pomparla controllando le pressioni nel sito di stoccaggio (che non devono superare certe soglie di sicurezza) e predisporre reti di monitoraggio per controllare che non ci siano risalite anche piccole, che potrebbero veicolare metalli nelle falde acquifere. La CO2 non è infiammabile ne esplosiva. L’esperienza di più di 70 anni di pompaggi di grandi quantità di CO2 in giacimenti in America e del suo trasporto con più di 6.500 km di condutture, consentono di affermare che il rischio è pari o inferiore ad ogni altra attività industriale.

In quanto Segretario Generale del network CO2GeoNet, concludendo, ci può spiegare cosa fate esattamente? e quali sono i vostri obiettivi, a breve e a lungo termine?

Il CO2GeoNet è nato nel 2004 come progetto finanziato dalla Commissione Europea con l’obiettivo di dar vita ad un “istituto virtuale” in grado di competere con i grandi enti di ricerca di altri paesi, attraverso la messa in rete di ricercatori, strumenti, dati e competenze. La forte integrazione raggiunta ha convinto i 13 istituti di allora di creare una associazione no-profit registrata poi in Francia. Con il tempo i membri sono aumentati e sono oggi 30 grandi istituti pubblici da 21 paesi Europei. L’ambizione è di essere il riferimento scientifico in Europa per il confinamento geologico della CO2, che perseguiamo coordinando tra i membri studi e ricerche specifiche, fornendo consulenze a decisori pubblici, organizzando convegni, corsi, dottorati, interagendo a livello Europeo ed internazionale con iniziative, altri centri e network impegnati nel CCS. A breve termine l’obiettivo è di aumentare il numero di soci e le collaborazioni internazionali; a lungo periodo è di contribuire con le nostre azioni alla riduzione delle emissioni di CO2.

Come ultima cosa lasciatemi esprimere una concetto che sento mio con grande intensità. I cambiamenti climatici mettono tutti noi di fronte alle nostre responsabilità verso le generazioni che verranno. Non esiste una soluzione semplice al problema, per cui dobbiamo tutti impegnarci secondo le nostre capacità e competenze. Le tecniche CCS non conseguiranno da sole la indispensabile riduzione delle emissioni di CO2, ma noi del CO2GeoNet, geologi, geofisici, matematici, fisici, ingegneri possiamo contribuire con le nostre competenze sullo stoccaggio geologico della CO2. Altri lo faranno sviluppando impianti eolici, altri progettando città con meno trasporti, altri sviluppando reti di distribuzione dell’idrogeno e così via.

Non è detto che riusciremo ad evitare drammatici disastri climatici, ma la nostra coscienza ci impone di provarci.