L’impronta ecologica è un indicatore che si usa per stimare il consumo di risorse naturali da parte dell’uomo rispetto alla capacità che il pianeta ha di rigenerarle. Si riferisce di solito all’orizzonte temporale di un anno. Questo indicatore serve per quantificare l’impatto che lo stile di vita o le attività umane hanno sull’ambiente. Ci dice di fatto quanto siamo sostenibili.
L’impronta ecologica, chiamata anche con l’inglese ecological footprint è definita dal Global Footprint Network, un’organizzazione che si occupa del calcolo dell’impronta e si pone l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini sul tema. Questo indicatore è la misura della superficie delle terre produttive e dell’acqua che sono necessarie per una popolazione per produrre le risorse che consuma e per metabolizzare i rifiuti prodotti. Generalmente l’impronta ecologica è calcolata a livello globale, di singole nazioni o di comunità di persone. Può essere confrontata con la superficie disponibile sul pianeta, che è chiamata biocapacità.
Il Global Footprint Network ha anche definito una modalità di calcolo per l’impronta ecologica. Nel calcolo sono comprese solo le terre produttive, ovvero quelle superfici che sostengono la domanda per la produzione di cibo, fibre, legname, energia e spazio per edifici e infrastrutture. Non sono incluse quindi le superfici coperte da oceani, ghiacciai o deserti. L’unità di misura è l’ettaro globale, definito tenendo conto della produttività e del tipo di area. L’impronta ecologica non ha l’obiettivo di definire la capacità portante di un territorio, ma ci fa capire il modo con cui il territorio è stato ed è utilizzato, in base alle tecnologie a disposizione. Si deve tenere conto quindi dell’effetto della variazione tecnologica sulle superfici utilizzate, ma anche sulla biocapacità. Si tratta perciò di un indicatore che è in costante aggiornamento.
L’impronta ecologica si è sviluppata come un concetto ampio che include l’utilizzo di energia, lo spazio per gli insediamenti, la produzione di cibo e altri fattori. Misura quanto velocemente consumiamo le risorse e generiamo rifiuti rispetto a quanto velocemente la natura assorbe i rifiuti e genera nuove risorse. Si tratta di un concetto strettamente legato a quello di sviluppo sostenibile, che si basa infatti su due principi. Il primo è che la velocità di consumo delle risorse deve essere inferiore a quella che il pianeta ha per rigenerarle. Il secondo è che la velocità di produzione di un rifiuto deve essere inferiore a quella che il pianeta ha per metabolizzarlo. L’aspetto centrale è quello di identificare la condizione per cui l’impronta ecologica risulta essere sostenibile.
Il concetto di ecological footprint nasce nel 1990 da un’idea di Mathis Wackernagel e William Rees della University of British Columbia. Il concetto fu poi diffuso dalla pubblicazione del loro libro, nel 1996, “Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact on the Earth”. Oggi è un concetto ampiamente utilizzato da scienziati, aziende, governi e individui per monitorare l’impatto delle proprie azioni sull’ambiente. Esistono anche diversi calcolatori che consentono di misurare l’impronta ecologica individuale. Uno dei calcolatori è disponibile sul sito del Global Footprint Network. L’impronta ecologica ha superato fin dalla metà degli anni ’70 la biocapacità. Mediamente, se il consumo di risorse fosse uguale alla loro rigenerazione, avremmo a disposizione 1,78 ettari procapite di Terra e ci basterebbe un solo pianeta. Ma con gli attuali consumi, avremmo bisogno di 1,7 pianeti Terra per soddisfare le esigenze globali. Si tratta di un valore medio, differenziato poi in base alle singole nazioni: gli USA avrebbero bisogno di circa cinque pianeti e mezzo, l’Italia di due pianeti e mezzo, mentre paesi come l’India o l’Etiopia solo dell’80% del pianeta.
Il calcolo è piuttosto complesso ma sostanzialmente ci permette di definire di quanto spazio avremmo bisogno per soddisfare le nostre esigenze. Il calcolo parte da una categorizzazione dei consumi, ad esempio alimenti, edifici, trasporti, beni di consumo, servizi. Le risorse vengono suddivise in base a come sono prodotte, ad esempio in terreni agricoli, territorio per energia, foreste, superficie edificata, pascoli. Ad ogni azione si attribuisce un peso, per esempio la quantità di superficie necessaria o la CO2 equivalente prodotta. Sommando tutte le azioni con i rispettivi pesi si ottiene la quantità di terreno di cui una nazione, una persona o una comunità ha bisogno per mantenere il proprio stile di vita.
Secondo il WWF, la biocapacità della Terra è pari a 12 miliardi di ettari globali, che corrispondono al valore di 1,78 ettari procapite che abbiamo già visto. Ma l’impronta attuale dell’intera umanità supera i 18 miliardi di ettari globali, ovvero 2,7 ettari procapite. Ridurre l’impronta ecologica non è semplice, perché da un lato la popolazione mondiale continua a crescere e dall’altro la superficie disponibile si riduce anche per effetto della deforestazione, dell’inquinamento o della siccità. Lo stile di vita però può contribuire ad abbassare l’impatto che le nostre azioni hanno sull’ambiente.
Piccole ma importanti azioni aiutano a ridurre l’impatto dello stile di vita sul pianeta. È importante che la produzione e il consumo di prodotti siano pensati in un’ottica sostenibile, massimizzando pratiche come il riuso o il riciclo, ma anche la raccolta differenziata. Serve poi ridurre gli sprechi di risorse, per esempio quelli di acqua o di energia. Il cibo influenza per il 26% l’impronta ecologica umana: ecco perché è importante prestare attenzione all’alimentazione anche per un motivo ambientale. In questo articolo ci sono tutti i consigli per una dieta sostenibile e qui alcune indicazioni per evitare lo spreco alimentare. Anche la mobilità va ripensata in modo sostenibile, preferendo mezzi pubblici o non inquinanti, come le biciclette. In casa, piccoli accorgimenti nella scelta degli elettrodomestici o degli impianti di riscaldamento possono rendere il nostro stile di vita più sostenibile e meno dannoso per l’ambiente.
Ogni anno la Terra rigenera le sue risorse con un tempo maggiore rispetto a quello che l’umanità impiega per consumarle tutte. Nel corso dell’anno quindi si tende a superare la biocapacità del pianeta, sfruttando le riserve non rinnovabili. Per questo è stato introdotto il concetto di Earth Overshoot Day, il giorno dell’anno in cui l’uomo esaurisce tutte le risorse generate dal pianeta per quell’anno. In un equilibrio ideale tra consumo e rigenerazione, questo giorno dovrebbe coincidere con la fine dell’anno, il 31 dicembre. E fino agli anni ’70 si riusciva a raggiungere l’Earth Overshoot Day verso la fine dell’anno. Questa data però si sta anticipando sempre di più, e nel 2022 è stata il 28 luglio. Poiché l’overshoot sta persistendo negli anni, la Terra si trova in una situazione di debito ecologico. Allo stato attuale le servirebbero 20,5 anni per rigenerare tutte le risorse esaurite. A questo si aggiunge il fatto che la biocapacità è messa a rischio dalla crisi climatica, dalla perdita di biodiversità, dall’erosione del suolo e dalla carenza di acqua dolce.
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