Microplastiche: come suggerisce il nome, si tratta di piccoli pezzi di plastica che hanno effetti pericolosi sull’ambiente e sulla salute. L’inquinamento da microplastiche costituisce un problema spesso più grave di quello delle plastiche. I nostri mari e i nostri oceani ne sono pieni e per questo i danni più consistenti si registrano per gli ecosistemi acquatici. Ma cosa sono e dove si trovano le microplastiche? Ecco tutto quello che c’è da sapere.
Le microplastiche sono piccole particelle di plastica, di diametro compreso tra i 330 micrometri e i 5 millimetri. Sono classificate in due categorie, a seconda della loro origine. Abbiamo quindi microplastiche primarie e secondarie. Quelle primarie sono rilasciate direttamente nell’ambiente. Le microplastiche sono utilizzate infatti in oggetti di uso comune, ad esempio nei capi d’abbigliamento sintetici. Per questo durante il lavaggio si immettono nell’ambiente le microplastiche attraverso gli scarichi delle lavatrici. I sistemi di depurazione, a causa delle ridotte dimensioni delle particelle, non sono capaci di filtrarle, e quindi le scaricano nei nostri mari. Le microplastiche secondarie invece si producono direttamente in mare per degradazione degli oggetti di plastica presenti nelle acque a causa dell’inquinamento prodotto dalle attività umane.
Oltre che nei capi di abbigliamento sintetici, che contengono il 35% delle microplastiche primarie, queste sono contenute anche negli pneumatici o nei cosmetici, ad esempio nei prodotti come gli scrub o i gel per la doccia. L’utilizzo nei cosmetici per l’esfoliazione e la purificazione attualmente è bandito dall’Unione Europea. Le microplastiche primarie costituiscono tra il 15 e il 31% delle microplastiche presenti nei nostri oceani. Altre microplastiche, quelle secondarie, si generano in mare per dissoluzione del materiale plastico, che avviene nel corso di diversi anni. Per azione dei venti, delle onde, delle temperature o dei raggi solari, la plastica negli oceani si degrada in microplastiche. Queste possono essere ingerite dalla fauna marina e accumulate nei tessuti, compromettendo anche la qualità del pesce consumato per l’alimentazione umana.
Quando vengono utilizzate nei prodotti, alle microplastiche vengono aggiunti diversi additivi chimici per dare al prodotto determinate caratteristiche. Le microplastiche inoltre sono come delle “spugne” che assorbono l’inquinamento che le circonda. Possono concentrare inquinanti organici persistenti come i policlorobifenili (PCB) e il diclorodifeniltricloroetano (DDT). Una volta finite in mare, le particelle vengono assorbite dagli organismi come pesci, plancton, gabbiani, balene. Le microplastiche quindi possono trasferirsi attraverso la catena alimentare fino agli esseri umani. Secondo diversi studi, mediamente in una settimana ognuno di noi ingerisce microplastiche per una quantità pari alla dimensione di una carta di credito. Oltre che nel pesce, si trovano microplastiche anche nella birra, nel miele, nell’acqua del rubinetto e in frutta e verdura. Ciò è dovuto sia alla trasmissione attraverso la catena alimentare che alla contaminazione delle acque.
Al momento non è chiaro con precisione quale sia l’effetto delle microplastiche sulla salute. Ma sicuramente l’attenzione deve rimanere alta perché la plastica contiene additivi chimici, che spesso sono costituiti da sostanze tossiche per l’uomo e gli animali. Alcuni inquinanti potrebbero interferire con il sistema endocrino fino a provocare alterazioni genetiche. Il rischio maggiore è per gli inquinanti organici persistenti, come il PCB e il DDT. Si chiamano così perché particolarmente resistenti alla decomposizione. Comprendono diverse classi di composti e, a seconda della sostanza, possono essere tossici per l’ambiente o per l’uomo o agenti cancerogeni.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) i rischi delle microplastiche e nanoplastiche per la salute umana si dividono in tre tipologie.
Secondo Greenpeace, ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani. Sacchetti, imballaggi, polistirolo, attrezzi per la pesca e altri materiali vengono gettati con sempre maggiore frequenza. I rifiuti di plastica finiscono negli oceani, trasportati dai fiumi di tutto il mondo. A questi rilasci di rifiuti dobbiamo aggiungere rifiuti da navigazione e incidenti in cui le navi mercantili scaricano parte delle loro merci. La plastica negli oceani è per l’80% di provenienza terrestre. Tutta questa spazzatura di plastica galleggia sulla superficie delle acque ed è catturata dalle correnti oceaniche, finendo in cinque principali zone di accumulo. Due di queste sono nell’Oceano Atlantico, due nell’Oceano Pacifico e una nell’Oceano Indiano e sono spesso chiamate “isole della plastica”. Lo spessore dello strato di plastica può arrivare a 20-30 m, per cui i fondali sono soggetti a un inquinamento spesso più grave di quello superficiale.
Ogni anno in Europa si generano 25 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, di cui solo il 30% è raccolto per essere inviato al riciclo. La strategia europea per la plastica prevede un aumento del riciclaggio e una riduzione della produzione di prodotti in materiale plastico. Attualmente in Europa è vietata la produzione di prodotti di plastica usa e getta così come l’utilizzo delle microplastiche nei cosmetici e nei detergenti. Questo divieto esiste anche negli Stati Uniti. L’Europa inoltre ha stabilito come obiettivo per il 2030 che tutti i rifiuti plastici siano riciclabili. Occorre anche ridurre l’utilizzo delle microplastiche e incentivare la pratica del riuso, ancora troppo poco diffusa. La lotta all’inquinamento dei mari è anche uno degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (SDG, Sustainable Development Goals).
Lo stop alla plastica usa e getta dell’Unione Europea e l’introduzione di tasse sulla plastica sono stati passi fondamentali. Ma è importante anche sensibilizzare i singoli cittadini per l’adozione di pratiche comportamentali che possano aiutare a ridurre l’inquinamento da plastica. Anche i produttori sono responsabili del prodotto, che deve essere concepito in vista di un ridotto impatto del suo fine vita. Occorre poi incentivare il riciclaggio e ridurre le quantità di plastica che sono bruciate nei termovalorizzatori o smaltite nelle discariche. Ricordiamo sempre però che al primo posto, come suggerisce anche la politica gerarchica europea per i rifiuti, c’è la prevenzione. Ciò significa che dobbiamo produrre meno plastica possibile, migliorando la progettazione del prodotto e rendendolo riciclabile al 100%.
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