Abbiamo un solo pianeta, che ha risorse limitate che si stanno esaurendo a causa dello sfruttamento eccessivo e rapidamente in aumento. Come facciamo a conservare le risorse e le riserve del pianeta continuando a garantire il soddisfacimento delle nostre necessità? Alcune delle risposte sono intuitive e ormai note. Bisogna ricorrere a fonti di energia rinnovabile e a risorse materiali in grado di rigenerarsi in tempi brevi. Altrettanto importante è la condivisione delle risorse, perché oggi la ripartizione dei consumi non è equa tra le diverse regioni del pianeta. E per finire, un ruolo cruciale per la salvaguardia dell’ambiente è la riduzione dell’inquinamento in aria, acqua e suolo.
Fino alla metà del secolo scorso gli ecosistemi naturali erano in grado di mantenersi in equilibrio e di compensare le perturbazioni causate dalle attività umane. Il pianeta riusciva a smaltire l’inquinamento atmosferico diluendo la concentrazione delle emissioni. Anche le acque reflue subivano un’alterazione moderata che le rendeva capaci di autodepurarsi. Con la rivoluzione introdotta dallo sfruttamento dei combustibili fossili, che vengono estratti dai giacimenti e bruciati, a partire dagli anni ’50 le attività umane sono cambiate. La produzione industriale di prodotti ed energia è cresciuta, sono aumentati gli allevamenti intensivi e la produzione di fertilizzanti. Di conseguenza, mentre crescevano indicatori di ricchezza economica e sociale, come la crescita della popolazione, sono cresciuti esponenzialmente anche gli indicatori di impatto ambientale. La CO2 e altri gas serra come il metano hanno contribuito al riscaldamento globale, che ha causato effetti secondari come l’acidificazione degli oceani e la riduzione dell’ozono stratosferico.
I cambiamenti sono stati rapidi come mai era accaduto nella storia del pianeta. Perciò parlare di adattamento non basta e non può essere una soluzione al problema ambientale globale. Serve mitigare i cambiamenti, bloccando la crescita degli impatti e riducendo le emissioni nel più breve tempo possibile. Da questa urgenza si è sviluppato il concetto di transizione ecologica, con obiettivi ben definiti che puntano a “tornare indietro”, all’epoca precedente allo sfruttamento dei combustibili fossili. Uno dei punti chiave infatti è l’incremento dell’utilizzo dell’energia rinnovabile, ma anche di materie prime che possano rigenerarsi. Sostenibilità vuol dire mantenere l’ambiente in una condizione di equilibrio stabile. Dal punto di vista pratico, la sostenibilità si basa su due principi:
La sostenibilità si può legare a una riduzione dell’impronta ecologica, un indicatore che misura la superficie di terre e acqua necessaria per produrre le risorse consumate rapportata all’intera superficie disponibile (biocapacità). L’impronta ecologica ha superato fin dalla metà degli anni ’70 la biocapacità. A livello mondiale, per soddisfare gli attuali consumi avremmo bisogno di uno spazio equivalente a mezzo pianeta in più.
Lo sviluppo sostenibile è un concetto che nasce da quello di sostenibilità, ma non è esattamente la stessa cosa. Quando è nato lo sviluppo sostenibile è stato fatto un passo in più. Gli aspetti ambientali infatti devono essere considerati in parallelo con quelli economici e sociali. Non basta solo ragionare in termini di utilizzo di energia rinnovabile o di riduzione dei rifiuti. Si deve pensare allo sviluppo sostenibile come un processo di cambiamento sia di mentalità sia di azioni in diversi ambiti. Lo sviluppo tecnologico, il consumo di risorse, i modelli istituzionali e gli investimenti devono essere ripensati secondo una certa logica. A guidarla è la definizione data nel 1987 dal Rapporto Brundtland diffuso dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo:
“Lo sviluppo sostenibile soddisfa le esigenze del presente senza compromettere la possibilità per le future generazioni di soddisfare le proprie esigenze”
Quindi, lo sviluppo sostenibile non è solo un concetto ambientale, come lo è invece la sostenibilità. In un certo senso lo sviluppo sostenibile espande il concetto di sostenibilità, perché essa non può e non deve essere compatibile con il degrado economico né con la violazione di diritti e dignità umani.
Il simbolo dello sviluppo sostenibile è un insieme di tre cerchi che si sovrappongono formando una piccola area comune a tutti e tre. I tre cerchi rappresentano la sostenibilità sociale, quella ambientale e quella economica. L’area comune è lo sviluppo sostenibile, a cui bisogna aspirare grazie al ruolo delle istituzioni. Lo sviluppo sostenibile ha fatto nascere un nuovo modo di pensare le attività produttive. Basta pensare all’agricoltura sostenibile, che punta a creare un sistema alimentare sano ed ecocompatibile. Ma in generale ha portato a non considerare più l’economia come unico parametro che identifica la crescita. La ricchezza non è solo quella economica, ma esiste una ricchezza sociale, che racchiude il benessere di una popolazione dal punto di vista dell’accesso all’istruzione e a strutture sanitarie. Il miglioramento delle condizioni di vita non dipende solo dallo sviluppo economico, ma si ottiene raggiungendo obiettivi come l’uguaglianza, la democrazia, la giustizia.
Il concetto di sviluppo sostenibile si è diffuso e sviluppato nel corso del tempo, fino a quando nel 2015 sono stati definiti degli obiettivi concreti da raggiungere per renderlo realtà. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2015 si è riunita a New York con la presenza di oltre 150 leader internazionali che si sono posti un obiettivo non solo di protezione ambientale, ma anche di benessere umano. I 17 SDG (sustainable development goals) dell’Agenda 2030, divisi poi in 169 sottobiettivi, sono:
Questi obiettivi hanno validità universale, cioè sono comuni ai 195 Paesi membri dell’ONU, perché tutti devono fornire un contributo allo sviluppo sostenibile in base alle proprie capacità.
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