Negli ultimi 60 anni le superfici forestali si sono ridotte del 60% per ogni abitante. A comunicarlo è una ricerca internazionale coordinata dall’Istituto giapponese di ricerca su foreste e prodotti forestali. Lo studio, pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters, si riferisce a dati globali e stima una riduzione da 1,4 ettari di foresta per ogni persona nel 1960 ad appena 0,5 ettari nel 2019.
Mentre la popolazione mondiale continua a crescere, il numero di foreste del mondo cala. La situazione non è uguale nelle diverse aree geografiche. Ad esempio, in Italia, le superfici forestali sono aumentate del 18% in dieci anni. Considerando però i dati globali, risulta un’ evidente e continua riduzione. Negli ultimi sessant’anni sono stati distrutti 437 milioni di ettari di bosco, mentre la crescita è stata di 355 milioni. La perdita complessiva è circa il triplo della superficie del territorio italiano. Per avere un’idea, il calo globale corrisponde alla superficie totale di Italia, Svizzera, Austria, Germania, Belgio e Lussemburgo. Il caso più preoccupante riguarda i Paesi in via di sviluppo delle regioni tropicali. Tuttavia, anche nei Paesi più avanzati la perdita di foreste è un fenomeno non trascurabile. La dipendenza dei Paesi ad alto reddito dai prodotti forestali provenienti dalle aree tropicali spinge a “spostare” il problema principalmente in quelle zone.
L’aumento delle azioni di disboscamento è legato strettamente ai dati sull’aumento della popolazione mondiale. Nello stesso periodo oggetto dello studio, la popolazione è passata da 3 miliardi di persone a quasi 8 miliardi. Di conseguenza, la riduzione forestale pro capite è stata pari al 60%, con un tasso di declino accelerato negli ultimi decenni. Tuttavia, secondo la teoria della transizione forestale, in seguito all’aumento del reddito in un Paese in via di sviluppo, la deforestazione aumenta fino a raggiungere un picco, poi inizia a ridursi. Oggi a causa della sovrappopolazione è necessario disporre di una maggiore quantità di suolo per gli insediamenti. L’aumento della popolazione implica la crescita della domanda di prodotti agricoli, che spinge a liberare il terreno per avere più spazio di coltivazione. Anche l’incremento delle attività di estrazione dei minerali nelle foreste tropicali produce un danno in termini di riduzione delle aree disponibili.
Avere meno alberi compromette l’equilibrio degli ecosistemi e riduce la biodiversità. Gli alberi infatti bloccano i raggi solari mantenendo il caldo durante la notte. Eliminandoli, gli sbalzi di temperatura diventano dannosi per piante e animali che si sono adattati a quel tipo di habitat. Ma non solo. La deforestazione ha un impatto sulla qualità della vita di 1,6 miliardi di persone nel mondo, soprattutto nelle aree più povere, dove il sostentamento deriva in buona parte dalle foreste. Di conseguenza, vengono meno fonti di reddito e possibilità di occupazione. Un altro aspetto è che il suolo diventa più vulnerabile e le erosioni più frequenti, causando problemi nell’approvvigionamento idrico per l’immissione di contaminanti nel suolo. Ultimo aspetto ma non meno importante è la nota capacità delle piante di assorbire l’anidride carbonica in eccesso presente in atmosfera. Ridurre le aree boschive vuol dire quindi aumentare l’effetto serra e il conseguente riscaldamento globale.
Sono in atto in tutto il mondo sforzi per tutelare la biodiversità e proteggere il più possibile le foreste. Dove ciò non è possibile, è fondamentale cercare di rallentare o compensare la riduzione che si sta verificando. La politica internazionale deve ripensare il commercio forestale nei Paesi in via di sviluppo per migliorare la conservazione delle aree boschive. In generale, le foreste dovrebbero sempre essere considerate nel loro valore economico ed ecologico. Occorre salvaguardarle assicurando un ricambio generazionale delle piante e gestendo l’equilibrio tra pascolo e agricoltura. Un’altra azione possibile riguarda la riduzione dei consumi dei prodotti ricavati dalle foreste, come carta e legno, in un’ottica di economia circolare, di recupero e di sostituzione con alternative più sostenibili.
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