Groenlandia, i ghiacciai scompaiono per un’energia nascosta
Lo scioglimento della calotta glaciale in Groenlandia ha creato la diga più grande del mondo. Quando l’acqua di disgelo cade verso il fondo dei ghiacciai, la sua energia gravitazionale si converte in calore. Un gruppo di ricercatori coordinato dall’Università di Cambridge e parte del progetto europeo Responder ha analizzato nel dettaglio il fenomeno. Per la prima volta il ritmo accelerato di scomparsa dei ghiacciai non si spiega con il solo riscaldamento globale.
Scioglimento dei ghiacciai ed energia: quale legame?
Lo scioglimento della calotta glaciale sta procedendo a ritmi da record. È ormai un fatto accertato e una delle più evidenti conseguenze del riscaldamento globale. La situazione è allarmante: negli ultimi mesi abbiamo parlato di temperature salite sopra la media e di precipitazioni registrate per la prima volta. Quello che finora si è trascurato è la generazione di energia a seguito della fusione del ghiaccio. Il principio è come quello alla base dello sfruttamento dell’energia idroelettrica nelle dighe. L’acqua che si scioglie si muove contro la parte ghiacciata e cadendo verso il fondale produce energia sotto forma di calore. L’energia potenziale gravitazionale quindi viene convertita in energia cinetica prima e in energia termica poi. Non è cosa da poco: secondo lo studio, la Groenlandia produce attualmente più energia rispetto alle dieci maggiori dighe del mondo. Non si tratta però di energia elettrica, ma di un’energia che distrugge i ghiacciai.
L’autodistruzione dei ghiacciai della Groenlandia
Ci troviamo di fronte a un fenomeno che non solo lancia un allarme, ma spiega meglio i meccanismi legati allo scioglimento delle calotte glaciali. In realtà, la generazione di energia termica e quindi di temperature più alte in profondità accelera ulteriormente la fusione del ghiaccio soprastante. L’energia nascosta sotto i ghiacci quindi è proprio la causa dei record delle velocità di scioglimento registrate. E di conseguenza, il livello del mare in tutto il mondo continua a salire fuori controllo. L’acqua ottenuta dalla fusione diventa una sorta di lubrificante che consente un flusso ancora più rapido verso l’oceano. In estate infatti si formano dei veri e propri corsi d’acqua dopo la fusione del ghiaccio. Questi scendono rapidamente verso profondità maggiori di un chilometro entrando attraverso le fratture del ghiaccio. Il calore proviene quindi da diverse fonti: l’attrito, l’energia cinetica e gravitazionale, il calore latente associato ai passaggi di fase.
La velocità di scioglimento
L’energia termica sul fondale causa uno scioglimento paragonabile a quello superficiale, dove i raggi solari sono più intensi. Ci si aspettava quindi un ritmo differente, ma non è così. Più il ghiaccio si scioglie, più la caduta di acqua accelera. L’area di fusione in estate arriva a un milione di chilometri quadrati. I ricercatori hanno misurato tramite onde radio la temperatura in profondità sfruttando pozzi presenti nelle vicinanze. Mediamente, la velocità di fusione alla base del ghiacciaio è 14 millimetri al giorno. Durante l’estate le temperature aumentano e si arriva anche a 57 millimetri al giorno. I risultati ottenuti sono cento volte maggiori delle precedenti stime, che avevano sottovalutato il calore rilasciato durante il disgelo. Durante il mese di agosto infatti la base della calotta glaciale ha raggiunto una temperatura di 0,88 °C. Si tratta di un dato allarmante, considerando che in questo punto la fusione avviene a -0.40 °C.
Energia come causa di distruzione
Quando l’acqua di disgelo colpisce il letto tende a salire perché il sistema di drenaggio basale non è abbastanza efficiente. Di conseguenza, l’acqua che passa nelle fratture del ghiaccio si riscalda per attrito. Lo scioglimento del ghiaccio quindi sta avvenendo dal basso verso l’alto con velocità mai viste. Per il momento, le stime sull’innalzamento del livello del mare non includono ancora questo meccanismo. Gli ultimi scenari della Nasa stimano un aumento del livello degli oceani di più di mezzo metro entro il 2100. E per ogni centimetro di aumento, sei milioni di persone sono a rischio di inondazioni. Ma a quanto pare, è ragionevole pensare, vista l’entità di questa nuova scoperta, che la situazione sia più grave di quanto si pensi.