Il riscaldamento globale sta alterando gli ecosistemi polari. La vegetazione in Antartide si sta moltiplicando a velocità mai viste prima. In particolare, le temperature più alte stanno determinando la crescita di due specie di piante autoctone, la Deschampsia antarctica e la Colobanthus stillensis.
Uno studio dell’Università dell’Insubria di Como pubblicato su Current Biology dimostra che l’equilibrio dell’ecosistema antartico è compromesso. L’analisi riguarda l’Isola di Signy ed è stata condotta in collaborazione con il British Antarctic Survey. È emerso che negli ultimi dieci anni le temperature sono aumentate passando da +0.02 °C a +0.27 °C. Tra il 2009 e il 2018 la Deschampsia antarctica è cresciuta cinque volte di più rispetto ai precedenti cinquant’anni, aumentando del 28% nell’ultimo decennio rispetto al 21% del precedente. Per la Colobanthus stillensis, anche detta “perla dell’Antartide”, la crescita è stata dieci volte più veloce, passando al 154% nell’ultimo decennio rispetto al 7% del precedente. La situazione attuale è un vero e proprio paradosso. Gli ecosistemi hanno bisogno di milioni di anni per evolversi, ma ne bastano pochi per trasformarli radicalmente. Ed è l’ennesimo allarme lanciato dal riscaldamento globale.
Il “continente bianco” ha sempre avuto una piccola frazione di verde in quanto l’Antartide non è ricoperta al 100% da ghiaccio. Si tratta di aree che ospitano muschi, licheni e piante erbacee. Con i cambiamenti climatici in atto le aree verdi tendono a espandersi. Non è solo questione di temperature calde, ma della sensibilità delle specie vegetali agli sbalzi termici. Alcuni casi registrati di trend più freddi hanno conseguenze più o meno stabili a seconda del tipo di pianta. Se l’impatto dell’aumento di temperatura è più evidente, non lo è quello della diminuzione. Per questo, nonostante i periodi mediamente più freddi, la crescita delle piante ha continuato ad andare avanti. Una seconda causa è la scomparsa sull’isola delle foche, che sono un disturbo per le specie analizzate, che vengono calpestate dagli animali. Il motivo per cui ci sono meno foche è probabilmente legato alla variazione delle condizioni del mare.
La tendenza del riscaldamento globale è destinata a mantenersi in crescita nei prossimi anni. Saranno sempre di più le zone senza ghiaccio e di conseguenza saranno sempre di più quelle verdi. L’intero ecosistema terrestre subirà impatti decisivi, arrivando ad alterare l’equilibrio naturale con l’ingresso di specie non native. In parallelo, scompariranno le specie tipiche di una certa regione, come sta succedendo appunto con le foche. L’immediata conseguenza di una modifica dell’ecosistema terrestre è la variazione chimica e biologica del terreno. Ci saranno cambiamenti del pH, dei batteri e dei funghi nel suolo, ma anche del ciclo di decomposizione della materia organica. Si tratta insomma di un processo a catena: ogni variazione ne causa altre, fino a compromettere l’ecosistema nel suo complesso.
Il riscaldamento può avere un effetto positivo su alcune specie autoctone e al tempo stesso aumenta il rischio di crescita di quelle invasive. Nella competizione entra in gioco anche la capacità delle piante di riprodursi in condizioni più rigide. La scomparsa delle specie autoctone determina di conseguenza una perdita della fauna locale. Un esempio è quello di una specie invasiva rilevata nell’isola di Signy nel 2018, la Poa annua. Questi eventi determinano una competizione tra specie native e specie invasive dove la “vittoria” è di quelle invasive, che si insediano nelle aree prive di ghiaccio. Le attuali condizioni di temperatura potrebbero determinare un ulteriore aumento della popolazione vegetale. A questo si aggiunge l’inevitabile migrazione di specie animali e vegetali causata dal riscaldamento globale. Per questo, nel continente antartico, il paesaggio sarà praticamente irriconoscibile. E i rischi per gli ecosistemi diventeranno una vera e propria minaccia.
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