Gli occhi del mondo sono puntati sul Kazakhstan. Sono ore critiche per uno degli Stati chiave dell’Asia centrale. Diverse città del Paese sono prese di mira da gruppi di dissidenti. Gruppi definiti, senza mezze misure, terroristici dal presidente Kassym-Jomart Tokajev. Nata come una protesta sulla scorta del movimento francese mouvement des gilets jaunes del 2018, vira, inevitabilmente, sul fronte politico.
La crisi energetica portata dalla pandemia sanitaria ha ripercussioni economico-energetiche pandemiche a sua volta. Sono innumerevoli gli Stati sotto pressione. Gli italiani stessi leggono lo stato di crisi energetica nei rincari in bolletta di gas e luce. La Francia mette in fermo produttivo qualche centrale nucleare per manutenzione e il costo del kilowattora aumenta. Intanto le forniture di gas in Europa scarseggiano e all’estero le cose non vanno meglio. L’aumento del prezzo del carbone in Cina e l’arrivo intermittente di combustibile in Libano sono due esempi.
Come potrebbe non trasformarsi in protesta politica, quella che nasce in virtù della riforma energetica avviata dal governo nel 2019. Sostanzialmente cessano i sussidi energetici governativi, passando alla liberalizzazione dei prezzi delle risorse energetiche stesse. Ora i prezzi li stabilisce il mercato. A questo punto succede che nella notte tra il 1 e il 2 gennaio il prezzo del GPL raddoppia. Da 60 balza a 120 tange al litro, ossia 0,24 centesimi di euro per ogni litro di gas di petrolio liquefatto. La protesta, nata di riflesso all’impennata dei prezzi, trascina in superficie malumori socio politici. Prende le mosse dal sud-ovest del Kazakhstan, precisamente a Zhanaozen. L’onda d’urto è così forte che lo Stato non riesce a placarla neanche riportando il prezzo a 50 tange al litro.
Nelle questioni politiche dei Paesi dell’ex unione sovietica entra in gioco sempre la Russia. Questa volta non è stata iniziativa del presidente russo Putin bensì l’intervento russo è stato sollecitato dal presidente Tokajev. Il Kazakhstan fa parte, insieme a Bielorussia, Armenia, Kirghizstan, Tajikistan dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva, CSTO. Outsider da aggiungere all’elenco è proprio la Russia. Questa, nettamente più forte degli altri Stati, può sfruttare occasioni emergenziali del genere per rafforzare la sua influenza negli altri Paesi.
Sono 3000 i paracadutisti militari russi inviati il 5 gennaio nello stato kazako per ripristinare l’ordine pubblico. La priorità prevede, oltre a sedare le violente proteste, la protezione degli edifici governativi presi d’assalto. La protesta infatti muove le mosse dalla regione petrolifera sud occidentale di Mangistau, una delle più povere, dove un aumento dei prezzi ha forti ripercussioni sulla vita locale. Si espande poi rapidamente interessando tutte le principali città kazake come Uralsk, Aktobe e l’ex capitale e capitale economica Almaty. Come twitta una giornalista kazaka, Assem Zhapisheva, la protesta nasce con manifestazioni pacifiche e assume successivamente connotati violenti per mano di sconosciuti vestiti di nero. Il presidente Tokajev li etichetta come terroristi addestrati all’estero e attua misure di rappresaglia violente. Le forze dell’ordine sono autorizzate a fare fuoco.
Uno degli scontri più sanguinosi tra le frange violente e la polizia avviene all’aeroporto di Almaty, concludendosi con 8 agenti di polizia rimasti uccisi e 317 feriti. Il bilancio complessivo dei decessi negli scontri nel Paese, secondo il governo, conta 18 agenti delle forze dell’ordine e 164 tra i manifestanti.
Sebbene non ci sia la certezza che i disordini kazaki possano essere ricondotti a un tentativo di golpe, il capo d’accusa ai danni di Karim Masimov per il suo arresto recita alto tradimento. L’ex primo ministro e capo dell’intelligence del Kazakhstan viene accusato quindi di aver tentato un rovesciamento del governo a partire dalle proteste sollevatesi per l’aumento dei prezzi del carburante.
Le forze armate sembrano essere riuscite a riportare sotto controllo la situazione. Ad oggi gli arresti sfiorano quota 8000.
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