Il Portogallo è il quarto paese europeo ad aver rinunciato al carbone per la produzione di energia elettrica. L’ultima centrale a Pego è stata spenta definitivamente lo scorso 22 Novembre. Con un anticipo di ben 9 anni rispetto agli accordi per il 2030, il Portogallo dice addio all’uso di combustibili fossili. Il futuro della centrale? L’ipotesi che il governo sta considerando è la riconversione dello stabilimento in una centrale a biomasse, in cui bruciare pellet di legno.
La centrale termoelettrica si trova a Pego, a circa 150 chilometri a nord-est di Lisbona, sulla riva sinistra del fiume Tago, a circa 8 chilometri della città Abrantes. La centrale dispone di due unità di produzione di energia, ciascuna dotata di un generatore di vapore, un’unità turbina-generatore e un trasformatore principale. Il sistema di produzione comprende anche le caldaie, i mulini a carbone, le turbine, i generatori e il sistema di controllo principale. La prima unità è entrata in funzione nel marzo 1993. La centrale di Pego ha raggiunto la piena operatività commerciale nell’ottobre 1995, quando la seconda unità è entrata in funzione.
Le due unità della centrale hanno ciascuna una potenza di 314 MW, ognuna con la propria infrastruttura di supporto di torre di raffreddamento, sistema di aspirazione dell’acqua di alimentazione e sistemi di scarico. Le due unità condividono gli impianti di estrazione dell’acqua dal fiume e l’impianto di trattamento dell’acqua, la stazione di lavorazione, il sistema di trasporto del carbone, la ciminiera e diversi altri servizi generali comuni. Con la direttiva europea LCPD (Large Combustion Plants Directive 2001/80/EC), nel 2009 le unità sono state dotate di un sistema di desolforazione dei gas di scarico (FGD) e di una riduzione catalitica selettiva (SCR).
Il governo portoghese sta attualmente valutando i possibili progetti di riconversione della centrale. Tra questi la possibilità di riconventire la centrale in una a biomassa che brucerebbe il legno. La tecnologia delle biomasse sta assumendo un ruolo sempre più importante nel contesto di transizione energetica verso la completa decarbonizzazione. Con il termine “biomassa” si intendono diversi materiali, tutti di origine biologica. La loro origine deriva principalmente da scarti di attività agricole. Questi materiali, attraverso trattamenti o processi di combustione, portano alla produzione di combustibili o direttamente di energia elettrica e termica.
La scelta della biomassa legnosa risiede probabilmente nella capacità del sistema di avere maggiore producibilità rispetto alle fonti intermittenti, e una maggiore programmabilità e flessibilità. Questo consente agli impianti di poter sostituire centrali termoelettriche, sia per il soddisfacimento del carico base, sia per il bilanciamento del sistema elettrico.
Un’altra ipotesi consiste lasciare spazio ad un sito di produzione di pannelli solari e veicoli elettrici, secondo quanto ha affermato il ministro dell’Ambiente portoghese João Pedro Matos Fernandes.
In Europa, il Portogallo si conferma il quarto paese ad aver lasciato il carbone per la produzione energetica. Belgio, Austria e Svezia. Quest’ultima ha ridotto le emissioni con la chiusura dei vecchi impianti termoelettrici a combustibili fossili e sostituendo l’elettricità a qualsiasi attività di origine fossile, facendo largo uso dell’energia da impianti nucleari.
L’indipendenza dal carbone è uno degli obiettivi principali verso cui indirizzare lo sviluppo tecnologico e le azioni dei singoli stati. La COP26, da poco tenutasi, ha ribadito l‘importanza di azioni congiunte e rapide volte al contrasto dell’aumento della temperatura globale. Su questa scia, Gran Bretagna, Grecia, Ungheria e Danimarca stanno procedendo lungo lo stesso percorso, annunciando delle date sul phase out dal carbone. La Danimarca già aveva annunciato lo stop della produzione di petrolio e gas. In Europa, oltre la metà delle centrali a carbone è spenta: è un buon punto, ma resta ancora tanto da fare.
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