Nell’ultimo anno il tasso di deforestazione nella foresta amazzonica è aumentato più del solito. Si tratta di un dato senza precedenti per una delle risorse ambientali più importanti del pianeta. Non solo il polmone della Terra, fondamentale contro la crisi climatica, ha subito un grave danno, ma l’intera popolazione di indigeni, piante e animali è a rischio.
L’Agenzia Spaziale brasiliana (INPE) e il sistema di monitoraggio Prodes (Program for Calculating Deforestation in Amazonia) hanno fornito i dati relativi al periodo compreso tra agosto 2020 e luglio 2021. Il record è il più alto registrato negli ultimi quindici anni: nel 2021 la deforestazione è stata il 22% in più rispetto all’anno precedente. Il disboscamento è stato il più grande mai realizzato, per un totale di 13235 chilometri quadrati. La perdita di alberi dell’Amazzonia brasiliana riguarda una regione paragonabile all’intero stato del Connecticut. Il mese di ottobre 2021 è stato quello con attività più intensa, diventando il peggiore registrato fino ad ora.
Lo sfruttamento eccessivo di risorse naturali come le foreste è aumentato con l’impatto dell’uomo sul pianeta. Ogni anno l’Amazzonia perde alberi, a un ritmo che sta diventando pericoloso. Senza gli alberi manca ossigeno sul pianeta e l’anidride carbonica perde gli elementi naturali che sono capaci di assorbirla. Le foreste vengono sfruttate perché sono necessari nuovi terreni per le coltivazioni e la crescita dell’economia locale. Inoltre, il legno è un combustibile ancora molto richiesto. Circa un terzo della popolazione mondiale lo utilizza per il riscaldamento e i Paesi sviluppati fanno un’ampia domanda di varietà pregiate.
Secondo le associazioni ambientaliste, il motivo di questi dati così allarmanti è da attribuire alla politica dell’attuale presidente Bolsonaro. Prima del suo insediamento la soglia massima di deforestazione registrata era di 10 mila chilometri quadrati all’anno. Le protezioni ambientali attuali invece sono state ridotte, portando rapidamente a un picco nella curva della deforestazione. Il presidente Bolsonaro ha incoraggiato la distruzione di una parte della foresta pluviale per ricavare spazio per nuove piantagioni che aumentino la produttività agricola brasiliana. Al tempo stesso, il suo programma di contrasto alle attività di disboscamento non autorizzate non ha riscontrato i risultati previsti.
Un fattore che ha contribuito alla crescita del tasso di deforestazione è l’alto numero di incendi del 2020. Il Brasile non è rimasto escluso da questa tragedia. Secondo i dati 8500 chilometri quadrati di foreste sono stati distrutti, un numero inferiore a quello del 2019 ma altrettanto allarmante. Ciò che maggiormente preoccupa è la quantità dei roghi, che lo scorso anno sono stati il 15,6% in più rispetto al 2019.
Durante la recente COP26 si è discusso anche del problema della deforestazione in Brasile. Il governo locale si è impegnato a fermare le azioni illecite entro il 2028, ma sembra che l’accordo sia solo formale. Secondo Greenpeace le informazioni disponibili dal monitoraggio erano già note al governo brasiliano al momento della partecipazione alla COP26 ma non sono state rese note. Per questo gli obiettivi del Brasile per fermare la deforestazione rimangono poco affidabili. Il Brasile è anche uno dei pochi paesi le cui emissioni sono aumentate durante la pandemia di Covid -19, e la deforestazione ne è una delle cause. A questi dati si aggiungono poi quelli dovuti allo sfruttamento dei combustibili fossili, raddoppiati negli ultimi trent’anni.
Le conseguenze più temibili del prossimo futuro riguardano il clima: la mancanza di alberi rischia di sfociare in un riscaldamento globale irreversibile. L’intero ecosistema animale e vegetale rischia l’estinzione, a causa dell’alterazione del loro habitat naturale. A questo si aggiunge il rischio di frane, smottamenti e alluvioni prodotti dalla mancanza di alberi e di temperature più elevate.
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