Spulciando nella banca dati di The World Air Quality Project lampeggia agli occhi una classifica. Classifica che vincono i Paesi con l’indice di qualità dell’aria peggiore. Le prime posizioni sono occupate da Paesi orientali e a prendere il primo premio è l’India, ma a che prezzo. Aperta la gara alla ripresa economica post pandemia globale sembra aprire anche la gara a chi avvelena i cittadini. I livelli di particolato in India raggiungono valori talmente proibitivi che l’imposizione di un lockdown per salvaguardare la salute pubblica è irrinunciabile. Difficile anche contare quante città indiane abbiano valori dell’indice di qualità dell’aria ampiamente sopra i livelli di allarme. Troppe sono quelle che presentano un AQI nei range che traducono un’aria che nel migliore dei casi risulta altamente insalubre.
L’India paga a caro prezzo la crescita e la ripartenza economica. Il Paese è destinato a diventare il più popoloso al mondo, superando la Cina, pertanto c’è bisogno di far largo alle nuove generazioni, di dar loro un posto di lavoro. La rivista medica Lancet imputa all’inquinamento il 18% delle morti indiane. Forse questa statistica troverà ancora la forza di crescere: 22 delle 30 città più inquinate al mondo si trovano proprio in India. Anumita Roy Chowdhury, direttrice del centro per le scienze ambientali, ricorda che i soggetti sensibili all’inquinamento non sono solo gli anziani o chi è affetto da patologie dell’apparato respiratorio. I bambini indiani crescono con polmoni più piccoli e un terzo del campione di bimbi esaminati mostrano danni ai polmoni. Un terzo è un’incidenza enorme: 33 bambini su 100 non sviluppano polmoni sani.
Gli organi esecutori indiani hanno deciso di sospendere le attività all’aperto non indispensabili imponendo un semi lockdown. Per una settimana le attività all’aperto vengono sospese, le scuole chiuse, imposto lo smart-working ai dipendenti pubblici e sollecitate le aziende private a fare altrettanto.
I livelli del particolato fine, PM 2,5 ovvero particelle con diametro equivalente inferiore a 2,5 micrometri, superano la soglia di sicurezza giornaliera prevista dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Da inizio novembre i livelli sono sempre sopra i limiti previsti dall’OMS anche di 20-30 volte. La situazione è insostenibile e il lockdown parziale prevede l’utilizzo di mascherine anche nei luoghi chiusi per combattere la nuvola di polveri sottili che abbraccia Dehli da settimane.
Come sempre le cause sono molteplici e i governatori indiani riferiscono che gran parte dell’intensificazione della nube di polveri sottili che soffoca Dehli ogni anno alle porte dell’inverno sia riconducibile alle attività agricole. I contadini bruciano i rifiuti e residui agricoli per fertilizzare i terreni e far posto alle nuove colture. Ma ovviamente l’uscita dal lockdown totale imposto dalla pandemia scatena la ripresa economica. Le fabbriche riprendono a lavorare a pieno regime e il traffico veicolare torna a ostruire le arterie delle città indiane. Alla COP26 l’India mostra scarso interesse ad affrettare il processo di decarbonizzazione dell’industria energetica, obiettivo che ha posto al 2070. Vengono quindi concessi i permessi per avviare oltre 50 nuove centrali di produzione che sfrutteranno combustibili fossili, anche carbone.
Avere a che fare con concentrazioni fino a 30 volte oltre la soglia suggerita dell’OMS è allarmante. Una concentrazione già pari a 10 microgrammi per metro cubo può partecipare allo sviluppo di affezioni dell’apparato respiratorio. Valori che superano di 20-30 volte questa soglia comportano insorgenza di disturbi anche alla parte della popolazione sana, determinando un rischio enorme per chi è già un soggetto sensibile.
Irritazione delle vie aeree, della pelle e degli occhi, delle mucose. Aumento di pazienti asmatici e con insufficienza respiratoria. Gli effetti più a lungo termine dell’esposizione alle polveri sottili hanno a che vedere con l’aumento dell’incidenza delle malattie respiratorie come bronchite cronica, per arrivare al cancro.
L’AQI è l’indice che classifica la qualità dell’aria in una scala suddivisa in blocchi valutando le concentrazioni degli inquinanti polveri sottili, ozono, ossidi di azoto e zolfo e monossido di carbonio. Non è univoco globalmente e ogni Stato può avere una sua scala progressiva di classificazione dell’indice. Solitamente i blocchi sono colorati dal verde o azzurro al rosso bruno o marrone o nero.
L’indice di qualità dell’aria che solitamente viene preso a riferimento è lo US AQI, ovvero quello statunitense. I blocchi allora sono sei e vanno dal verde al rosso bruno e classificano l’aria in buona, moderata, insalubre per soggetti sensibili, insalubre, altamente insalubre, rischiosa. I blocchi che descrivono condizioni dell’aria da buona a insalubre sono separati da incrementi dell’indice di 50 unità. Le due ultime condizioni, le peggiori in assoluto, vedono l’AQI variare di 100 unità, da 201 a 300 e da 301 in poi (ogni blocco presenta una discontinuità di una unità).
Per tutti gli AQI le rilevazioni si basano sulla valutazione della concentrazione di inquinanti in un volume di aria di riferimento o in parti per milione o per miliardo e relativamente a un determinata finestra temporale di campionamento. L’equazione analitica che esprime l’AQI risulta:
AQI = [ (AQImax – AQImin) / (Cmax – Cmin) ] * (C – Cmin) + AQImin
dove C è la concentrazione dell’inquinante che si sta valutando, Cmin e Cmax sono le concentrazioni di breakpoint e AQImin e AQImax sono gli indici relativi alle concentrazioni estreme degli intervalli delimitanti i blocchi. Le concentrazioni di breakpoint e i relativi indici sono stabilite dall’EPA statunitense (Environmental Protection Agency).
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