Il 2 ottobre un oleodotto connesso alla piattaforma petrolifera offshore “Elly” si è danneggiato. I motivi non sono ancora del tutto chiariti, ma si ipotizza che la causa sia l’ancora di una nave mercantile. Ciò che è certo è l’enorme portata di questo ennesimo disastro, che in poche ore ha riversato petrolio lungo le coste della contea di Orange.
L’oleodotto che ha dato origine al disastro è lungo circa 28 chilometri ed ha una capacità di circa 470mila litri. La piattaforma Elly, gestita da Beta Offshore, si trova a 3 miglia dalla costa di Newport Beach, importante meta turistica. Nelle ore successive al danno, circa 480mila litri di petrolio si sono riversati nell’Oceano Pacifico, devastando un’area di almeno 33 chilometri quadrati. Migliaia sono i pesci e i volatili avvelenati e arenati lungo la costa. Per cercare di limitare la perdita, l’oleodotto è stato rapidamente chiuso e il petrolio è stato in parte recuperato tramite operazioni di pulizia realizzate da 14 barche e quattro velivoli di ricognizione. Secondo quanto riportato da fonti ufficiali, il giorno successivo al disastro si sono recuperati 12mila litri di petrolio. Le spiagge sono state chiuse al pubblico mentre le autorità hanno provveduto alla creazione di barriere galleggianti per contenere l’espansione del petrolio nell’oceano.
Lo sversamento di petrolio ha raggiunto una importante riserva ecologica della zona, quella di Talbert Marsh, che ospita circa ottanta specie di volatili. Secondo gli esperti, l’evento rischia di minacciare la sopravvivenza di diverse specie protette. Infatti, le coste californiane sono estremamente ricche di fauna selvatica e di numerose specie di cetacei. Si stima che nonostante le operazioni di contenimento il greggio continuerà a colpire le località costiere per diverso tempo. Questo produrrà un danno anche economico, perché le zone colpite sono una meta turistica, soprattutto in questo periodo a causa del Pacific Airshow, evento che attira circa 200mila persone, ora cancellato. Si ipotizza una chiusura delle spiagge anche per qualche mese e il divieto di entrare in acqua, al fine di tutelare la salute dei residenti e dei turisti. Questa fuoriuscita di petrolio infatti è stata definita come l’evento più grave registrato nella zona negli ultimi decenni.
Dopo l’incidente petrolifero avvenuto nel 1969 al largo di Santa Barbara, che causò il rilascio di 80mila barili di petrolio, si sono limitate le trivellazioni offshore. Nonostante questo, l’economia californiana si basa principalmente sull’estrazione di petrolio ed eventi come questi non sono rari. Le coste della contea di Orange sono già state oggetto di un disastro petrolifero, avvenuto trent’anni fa. Durante quell’evento si versarono 1,6 milioni di litri di petrolio che uccisero circa 3mila animali.
In questo contesto, le società energetiche locali sono accusate di non prendere sul serio i rischi del deterioramento degli impianti. Con il passare del tempo infatti le infrastrutture sottomarine non solo vanno incontro a usura, ma sono anche soggette a possibili smottamenti. La manutenzione costante quindi è un fattore chiave per cercare di contenere i danni. Nel frattempo alcune forze politiche chiedono lo stato di emergenza e la conseguente bonifica delle zone. Altri chiedono l’abbandono delle trivellazioni petrolifere. Sembra infatti che la soluzione migliore e più sicura per impedire eventi analoghi e mettere in sicurezza persone e animali sia quella di sostituire il petrolio, che è troppo pericoloso e inquinante. Per ora la California non sembra intraprendere questa strada, continuando invece a sostenere l’economia petrolifera mediante sostegni statali ai produttori. Secondo le associazioni ambientaliste invece ci sono tutti i presupposti tecnologici per investire sulle tecnologie per l’energia rinnovabile e abbandonare in modo graduale l’estrazione di petrolio, a partire dai pozzi offshore, che sono più energivori.
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