L’Italia è l’eccellenza europea nel riciclo dei rifiuti speciali. È quello che emerge da un recente report del Laboratorio Ref Ricerche per Fise Assoambiente. Nonostante questo, la produzione è ancora troppo alta e manca ancora un sistema impiantistico adeguato per la loro gestione.
La normativa italiana definisce “rifiuto” qualunque sostanza o materiale della quale il detentore si disfi, abbia deciso di disfarsi o sia nell’obbligo di disfarsi. I rifiuti solidi si classificano in base all’attività che li produce e la composizione, distinguendo tra rifiuti urbani e rifiuti speciali. Ciascuna di queste due categorie presenta un’ulteriore suddivisione tra rifiuti pericolosi e non. Mentre i rifiuti urbani derivano da abitazioni civili e sono gestiti dalla pubblica amministrazione, quelli speciali derivano da attività produttive, commerciali o di imprese e sono gestiti da aziende autorizzate allo smaltimento. La gestione dei rifiuti speciali è complessa sotto l’aspetto tecnico e amministrativo. In particolare se i rifiuti sono pericolosi, cioè contengono un’elevata quantità di sostanze inquinanti, il trattamento prevede anche la riduzione del rischio per le persone e l’ambiente. Esempi di rifiuti speciali pericolosi sono: vernici, medicinali, amianto, scarti da industria chimica, resti di apparecchiature elettroniche.
L’impatto e l’inquinamento ambientale prodotto dai rifiuti speciali richiede un’ opportuna gestione dal punto di vista normativo. Per un idoneo smaltimento occorre per prima cosa una corretta distinzione dei rifiuti speciali dalle altre sostanze di scarto. Il rifiuto deve essere perciò per prima cosa etichettato e identificato attraverso il catalogo europeo dei rifiuti. Il produttore dei rifiuti deve conservarli temporaneamente e poi inviarli ai centri di smaltimento in un intervallo di tempo che varia a seconda dei casi. Si va da tre mesi a un anno, a seconda della quantità che viene prodotta. La normativa italiana stabilisce per ogni categoria di rifiuto speciale l’impianto più idoneo per il trattamento. Questo può essere biologico, chimico-fisico o di incenerimento. Generalmente l’ultima strada è riservata ai rifiuti speciali pericolosi. Nella scelta del trattamento inoltre si tiene conto del livello di pericolosità del rifiuto stesso.
Il dossier del Laboratorio REF Ricerche, “I rifiuti prodotti dalle attività economiche: tanta virtù… e qualche criticità da risolvere”, ha confrontato il sistema italiano e quello di altri Paesi europei. Ne è emerso che l’Italia rappresenta una vera eccellenza in Europa. In Italia il 79,3% dei rifiuti speciali viene riciclato, la percentuale più alta in Europa. Il tasso di circolarità, cioè il materiale recuperato dai rifiuti e immesso di nuovo nell’economia, è invece del 19,5% , molto vicino al 20% della Francia, che detiene il primo posto. La gran parte dei rifiuti speciali proviene dal trattamento dei rifiuti stessi o di acque reflue. Ciò dimostra la spinta italiana verso il recupero di materia, nell’ottica dell’economia circolare. Il recupero energetico è invece piuttosto marginale, mentre in discarica arriva ancora il 50% dei rifiuti speciali.
Il numero di impianti italiani è circa 11 mila, dato piuttosto stabile negli ultimi anni. Per questo, continua a crescere lo stoccaggio dei rifiuti, pari a circa 18 milioni di tonnellate. L’aumento dei rifiuti conseguente alla crescita delle attività economiche crea quindi dubbi sulle capacità nazionali di gestione. Negli ultimi anni in Italia la crescita dei rifiuti è stata maggiore del PIL, in particolare si calcola che per ogni 1000 euro di crescita del PIL si sono prodotti 47 kg di rifiuti. Per poterli gestire correttamente sarà necessario avere più impianti sia per il recupero di materia che di energia. Questa esigenza è anche dettata dalla mancanza di materie prime ed è finalizzata alla riduzione della dipendenza dall’estero, per aumentare il valore e l’occupazione nazionale. Potenziare e aumentare gli impianti permette anche un’accelerazione del percorso di transizione energetica verso le rinnovabili e l’economia circolare.
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