Con l’esplosione della pandemia dovuta al SARS-CoV-2 il mondo ha dovuto affrontare il problema dell’isolamento. Neanche i paesi più sviluppati erano pronti a compiere il passo verso una completa digitalizzazione. Sia dal punto di vista lavorativo che ricreativo la rete è stata messa a durissima prova. Per forza di cose le linee hanno subito spesso delle interruzioni di servizio, o non sono riuscite a garantire una navigazione adeguata. E questo accadeva nei paesi con le più solide infrastrutture informatiche e di telecomunicazioni. Ma è ormai accertato che internet ha un peso significativo circa le emissioni di gas serra. Il potenziamento e l’efficientamento delle infrastrutture informatiche è fondamentale per il prossimo futuro. È facilmente intuibile che l’energia utilizzata dal web sia destinata ad aumentare nel tempo. I ricercatori del gruppo The Shift Project quantificano questa intuizione: l’energia utilizzata cresce del 9% ogni anno.
Le case, ad esempio, saranno sempre più intelligenti, integrando sistemi domotici connessi. Molte aziende hanno deciso di adottare nei loro piani lo smart working, che non sarà più relegato a sole situazioni emergenziali. I contenuti multimediali online, seguendo il progresso tecnologico, saranno più complessi, quindi pesanti. Ancora, la popolazione mondiale è destinata a crescere, e con essa la richiesta di dispositivi tecnologici. Oltretutto, le future generazioni di anziani sono i giovani di oggi, già avvezzi all’utilizzo di internet e che presumibilmente continueranno ad utilizzarlo più a lungo rispetto alle generazioni precedenti. A tal proposito l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che al 2050 gli over 60 nel mondo supereranno i 2 miliardi.
Mike Hazas, ricercatore dell’Università di Lancaster, fornisce un dato allarmante: l’insieme dei dispositivi connessi ad internet e l’infrastruttura che lo sostiene produce il 3,7% dell’ammontare globale di gas serra. Questo dato, tra l’altro, è vicino all’emissione di gas serra legata al settore aereo. Grazie anche alla spinta alla digitalizzazione dovuta alla pandemia da SARS-CoV-2 le emissioni di gas serra del web sono destinate a duplicare entro il 2025, raggiungendo il 7%, pari alle emissioni dovute alle automobili.
La realizzazione dei dispositivi tecnologici informatici e la loro alimentazione è responsabile di 1,7 miliardi di tonnellate di CO2eqv. Dividendo 1,7 mila miliardi di kg di CO2eqv per il numero di utenti che utilizzano internet, si ottengono circa 414 kg/persona di gas serra emessi ogni anno. 414 kg di CO2eqv per utente è una media prettamente indicativa. In realtà nei paesi più sviluppati, che possono contare su tecnologie più efficienti e una buona penetrazione di energia da fonti rinnovabili, l’emissione pro-capite è inferiore. D’altra parte, però, sono i paesi più sviluppati ad utilizzare più risorse digitali. Stimare in modo più specifico l’emissione pro-capite, in relazione a quella globale, diventa tutt’altro che facile.
I servizi internet che ognuno di noi utilizza passano per i data center disseminati in tutto il globo. Queste strutture richiedono quantitativi di energia molto elevati per poter essere tenuti attivi. Ad esempio, i data center negli Stati Uniti hanno consumato il 2% del fabbisogno elettrico del paese. Al 2020 il fabbisogno elettrico statunitense viene attestato a 3800 TWh, come riportato dall’eia (The U.S. Energy Information Administration). L’energia assorbita dai data center è quindi pari a 76 TWh. Risulta essere circa il 38% della richiesta energetica dei data center globali, che sfiora i 200 TWh. Ma è interessante notare che questo fabbisogno si mantiene pressappoco costante, sebbene il traffico internet aumenti di anno in anno. Ciò è dovuto alla maggior efficienza delle nuove infrastrutture e all’alimentazione tramite elettricità ricavata da fonti rinnovabili. Nei paesi non sviluppati, o in via di sviluppo, il fabbisogno energetico viene coperto maggiormente da combustibili fossili.
Come è ormai chiaro, tutte le attività che eseguiamo online sono responsabili di emissioni di gas serra. Queste emissioni sono più o meno gravose in relazione all’attività stessa e alla posizione geografica. Ad esempio, l’invio di e-mail oppure la navigazione su siti di informazione, come il nostro network, sono meno impattanti rispetto all’utilizzo di social network e servizi di streaming. Al tempo stesso, a parità di attività da compiere, risulta meno impattante quella compiuta in un paese che alimenta l’infrastruttura informatica con energia da fonti rinnovabili.
La riproduzione di contenuti multimediali online è certamente tra le attività a più alto impatto ambientale. Lo streaming di video e film online occupa il 60% del traffico internet. Nell’annualità genera l’1% delle emissioni di CO2 mondiali, pari a 300 milioni di tonnellate. Secondo quanto riportato dal gruppo The Shift Project, subito dietro i video on demand su piattaforme come Netflix e Amazon Prime, ci sarebbe la pornografia. Questa partecipa per un 27% sul 60% dei video online ed emette 82 milioni di tonnellate di CO2, come il Belgio.
Ad oggi le azioni più dirette ed efficaci per mitigare il carbon footprint digitale sono: aumentare la penetrazione energetica da fonti rinnovabili per alimentarne l’infrastruttura; efficientare l’infrastruttura stessa; piantare più alberi (!); diventare consumatori consapevoli, limitando l’utilizzo della rete per usufruire di servizi non primari.
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