Già da qualche anno si sente parlare della necessità di catturare l’anidride carbonica. Sono nati sistemi in grado di stoccarla, riconvertirla e quindi usarla in modo alternativo. Rimuovere parte di essa dall’atmosfera è necessario perché le piante non riescono più a stare al passo delle emissioni umane. L’anidride carbonica è una molecola indispensabile alla vita ma compatibilmente con certi limiti, che si stanno purtroppo superando.
L’esistenza delle specie animali e vegetali come le conosciamo dipende dall’interconnessione e dall’interscambio di elementi indispensabili alla vita tra i vari ecosistemi terresti e acquatici. Parliamo di acqua, ossigeno, azoto, fosforo, anidride carbonica, ferro e così via. Questi elementi sono i protagonisti di quelli che vengono chiamati cicli bio-geochimici. Il nome evidenzia il punto di contatto che avviene tra gli elementi presenti nel comparto ambientale abiotico e gli organismi viventi. L’anidride carbonica è protagonista nel ciclo del carbonio.
Tramite gli organismi autotrofi, le piante, il carbonio atmosferico contenuto nella molecola CO2 viene reso biodisponibile per gli organismi eterotrofi, gli animali, con la formazione principalmente del glucosio, C6H12O6. È la serie di processi bio-chimici nota come fotosintesi clorofilliana che porta alla sintesi dello zucchero fondamentale alla vita. Gli organismi viventi stessi durante la loro esistenza producono anidride carbonica per diverse vie, tra cui le più importanti sono la respirazione e la decomposizione. In questo modo l’anidride carbonica atmosferica spazia dall’ambiente abiotico a quello biotico e viceversa.
L’antropocene è l’era geologica proposta per identificare l’intervallo temporale, in atto, che vede l’uomo responsabile principale dell’alterazione dei cicli bio-geochimici e degli ecosistemi. In peggio, s’intende. Ci si potrebbe porre una domanda banale: come può l’uomo svincolarsi dalla combustione? Sarebbe bello che anche la risposta fosse banale, invece è la principale sfida del decennio che inizia. I maggiori problemi ambientali sono infatti il risultato delle migliaia di milioni di tonnellate di CO2 emesse ogni anno per alimentare i processi di combustione per i più svariati motivi. Per il 2021 si stima una emissione globale di 34 GtCO2, in calo di 2,4 GtCO2 rispetto al 2019.
L’anidride carbonica è un potente gas serra e il suo continuo accumulo nell’atmosfera ne alimenta l’effetto, con tutte le conseguenze che ne comporta. Tutti gli alberi del mondo non riescono ad immobilizzare in materia organica questa quantità. Non bisogna poi dimenticare di sommare alle emissioni antropiche anche l’emissione dovuta all’attività dei vulcani, principali emettitori naturali di anidride carbonica, che si aggira tra le 100 e le 500 milioni di tonnellate/anno.
A dare una mano alla natura deve intervenire l’uomo, nell’attesa di una completa transizione alle fonti di energia pulita. Certo, tecnologie e impianti per la rimozione della CO2 sono recenti e neanche troppo diffusi, per il momento. Si stanno sviluppando ultimamente dei sistemi complessi in grado di permettere un ritorno economico in modo da ammortizzare le spese per la realizzazione degli impianti stessi e incentivare le industrie a dotarsi di tali sistemi. Vengono chiamati CCS, CCU, CCUS. Rispettivamente sono dei sistemi per lo storage e l’uso dell’anidride carbonica. L’ultimo acronimo va ad indicare un sistema che permette di combinare insieme le due tipologie precedenti. Il ritorno economico ricade nella categoria CCU, e consiste nel vendere l’anidride carbonica stoccata a terzi che ne fanno uso, si pensi che, ad esempio, l’insufflazione di CO2 in profondità permette di aumentare l’efficienza di estrazione del greggio.
L’obiettivo delle aziende più virtuose è ridurre il loro impatto ambientale fino ad azzerarlo o addirittura andare in negativo, ossia sequestrare più anidride carbonica di quanta ne producano.
La parola d’ordine per questo impianto è riciclo. Tutto si basa sul sistema tipo CCUS che prevede il recupero e la conversione dei materiali di scarto dalle industrie siderurgiche e del cemento per ottenere dei prodotti utili al fine della cattura della CO2. Una volta esaurita la loro capacità di intrappolare l’anidride carbonica questi materiali non verranno buttati via, ma si reimmetteranno nel ciclo di produzione delle stesse industrie per la produzione di acciai e cementi. La parola riciclo potrebbe portare fuori strada. Le reazioni sviluppate catturando la CO2 migliorerebbero qualitativamente gli scarti recuperati dalle acciaierie e dalle cementerie. È per questo che la ricerca in questo settore ha bisogno di finanziamenti importanti, perché si tratta di creare materiali tecnologicamente innovativi a partire da scarti industriali.
ZECOMIX, l’impianto di ENEA a zero emissione di carbonio, è entrato nel progetto di ricerca dell’Unione Europea chiamato ECCSELERATE, finanziato con 3,5 milioni di euro. L’International Energy Agency ha stimato che gli impianti CCS attualmente in funzione permettono di stoccare oltre 35 milioni di tonnellate di CO2/anno, e che sarà necessario aumentare di 20 volte questo valore entro i prossimi 10 anni.
Articolo a cura di Marco FILABOZZI
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