La diffusione rapida dei veicoli elettrici sta portando a una trasformazione delle reti elettriche favorendo l’utilizzo di sistemi di accumulo per l’energia. Al momento i modelli più diffusi sono le batterie al litio, le stesse usate dalle auto elettriche, ma non sono l’unica opzione. La compagnia australiana LAVO ha lanciato sul mercato il Lavo Hydrogen Battery System, un nuovo modello casalingo basato su celle a combustibile a idrogeno.
Il sistema Lavo non si limita ad accumulare energia come una semplice batteria al litio. Durante gli orari di basso carico, sfrutta l’energia elettrica in eccesso per svolgere l’idrolisi, ricavando così idrogeno dall’acqua. Quando poi serve energia, il sistema ricombina l’idrogeno e ossigeno nelle celle a combustibile per ottenere acqua e corrente elettrica. L’idrogeno viene immagazzinato in un idruro di metallo che funge da ‘’spugna’’.
Questa soluzione presenta diversi vantaggi:
Lavo è connesso direttamente all’inverter del pannello fotovoltaico e alla rete idrica (tramite un depuratore). Il sistema usa anche una piccola batteria al litio da 5 kWh per una risposta istantanea.
Le celle a combustibile riescono a produrre calore ed energia elettrica direttamente dall’energia chimica del combustibile, senza utilizzare cicli termici. Quando il combustibile in questione è l’idrogeno, allora le celle producono energia elettrica assieme all’acqua calda.
Le celle a combustibile sono costituite da due elettrodi di materiale poroso: anodo (positivo) e catodo (negativo). Nell’anodo, l’idrogeno si spezza in ioni positivi H+ ed elettroni e– (quindi avviene l’ossidazione). Gli elettroni passano per un circuito esterno fornendo così energia elettrica.
Gli ioni H+ invece vanno verso il catodo passando per l’elettrolita, dove reagisce col comburente (tipicamente aria). L’ossigeno presente nell’aria reagisce con gli ioni formando semplice acqua e calore.
Questa struttura è molto simile a quella di una semplice batteria elettrica, la principale differenza è che le sostanze consumate sono esterne. Le celle quindi funzionano senza interruzioni finché viene fornito comburente e combustibile.
L’articolo 21 della direttiva RED II ha introdotto la figura dell’autoconsumatore. La definizione è <<cliente finale che, … produce energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo e può immagazzinare o vendere energia elettrica rinnovabile autoprodotta>>. In pratica gli autoconsumatori svolgono sia il ruolo di consumatori che di produttori, costituendo così la figura del prosumer. La condizione principale però è che l’energia sia rinnovabile. Una soluzione molto diffusa è l’impiego di pannelli fotovoltaici, il problema però è la discordanza tra profilo di produzione e di consumo. Il picco di produzione del fotovoltaico si ha verso mezzogiorno, mentre la domanda raggiunge il massimo di sera. Per poter utilizzare al meglio il surplus di energia, una soluzione è l’impiego di sistemi di accumulo. Con il PNIEC, è prevista l’installazione di 4 GW di sistemi di accumulo distribuiti per favorire l’autoconsumo, con l’obiettivo di ridurre i consumi elettrici residenziali. Sono previsti anche 6 GW di sistemi centralizzati, per garantire l’integrazione delle fonti rinnovabili con riduzione dell’overgeneration.
Il problema dell’autoconsumo (cioè l’uso dell’energia prodotta sul posto) è la differenza tra profilo di domanda e profilo di produzione dell’impianto. Ad esempio, con gli impianti fotovoltaici si ha il picco giornaliero verso mezzogiorno, ma a quell’ora il consumo è molto contenuto. Quindi l’efficienza degli impianti rinnovabili si riduce perchè non riescono a sfruttare il surplus di energia.
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