L’acqua contaminata, che fino ad oggi era impiegata per raffreddare i reattori danneggiati nell’incidente nucleare di Fukushima, verrà rilasciata nell’Oceano Pacifico. È questa la decisione del governo giapponese.
Una scossa di magnitudo 9.1 della scala Richter, con epicentro a 97 chilometri dalla centrale di Fukushima, colpisce il Giappone al largo della costa orientale. Alle 14:46 dell’11 marzo 2011, infatti, i sistemi di sicurezza rilevarono il terremoto e interruppero le reazioni nucleari mediante le barre di controllo, il cui scopo è assorbire i neutroni. Le barre di combustibile però rimangono caldissime e devono essere raffreddate. Si attivano, quindi, i generatori di emergenza per mantenere in funzione i sistemi di circolo dell’acqua di raffreddamento. Tutto questo secondo i protocolli standard di gestione delle emergenze.
Ad un’ora dalla scossa di terremoto però si verificò un evento non previsto: uno tsunami. Un’onda alta più di 14 metri si abbatté sugli edifici della centrale facendo spegnere i generatori di emergenza. Nonostante questo i sistemi di raffreddamento continuarono a funzionare per alcune ore, al termine delle quali le barre di combustibile nucleare cominciarono a fondere.
La Tokyo Electric Power, società che gestisce la centrale, non poté fare altro che iniettare acqua di mare ed acido borico all’interno dei reattori per raffreddarli. Si riuscì in questo modo a raffreddarle ma non si fece in tempo ad evitare la fusione dei contenitori del combustibile fuso nei reattori 1 e 2.
Il vapore d’acqua generato nei reattori raccolse gli elementi radioattivi prodotti dalla fusione. All’aumentare della pressione interna, le valvole di sfogo portarono questo vapore verso le vasche di raffreddamento contenenti acqua fredda, appunto. Quest’acqua fredda iniziò a bollire determinando un aumento della pressione nei reattori. La Tokyo Electric Power fu costretta, per evitare l’esplosione dei reattori, a liberare vapore e gas nell’atmosfera. Alcuni eventi esplosivi si verificarono a causa del contatto tra idrogeno (prodotto della reazione) fuoriuscito in fase gassosa e l’ossigeno. Una di queste esplosioni distrusse una vasca d’acqua usata per contenere le radiazioni. Sostanze radioattive non filtrate, quindi, si riversarono nel suolo e nel mare.
La Tokyo Electric Power prevede che ci vorranno almeno altri trent’anni di lavoro per recuperare le barre di combustibile non danneggiate, quelle fuse, smontare i reattori e gestire l’acqua contaminata. La spesa per smantellare la centrale sembra ammonterà a circa 64 miliardi di euro. Attualmente almeno un milione di tonnellate d’acqua (400 piscine olimpioniche), pulita da tutti gli elementi tranne il trizio, è stoccata all’interno di più di mille grandi serbatoi.
Nonostante le contestazioni dei gruppi ambientalisti, degli agricoltori e dell’industria della pesca, il premier Yoshihide Suga ha confermato che l’acqua contaminata verrà rilasciata in mare. Questa pratica, però, nonostante ciò che si possa pensare, non è pericolosa e lo spieghiamo in questo articolo.
Una apposita commissione istituita presso il ministero dell’Economia e dell’Industria giapponese aveva concluso che lo smaltimento in mare dell’acqua, a valle del trattamento che lascia solo trizio, è una opzione realistica perché i livelli di contaminazione non sono preoccupanti e inferiori ai limiti imposti internazionali. Le linee guida internazionali, infatti, ammettono 7000 Bq/L (Bq=becquerel, unità di misura nel sistema internazionale dell’attività di un radionuclide, ndr).
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