La Shell condannata per il disastro ambientale in Nigeria
La Corte Internazionale di Giustizia condanna la Shell per disastro ambientale nel delta del fiume Niger. Dopo un processo durato 13 anni, arriva finalmente la sentenza. La compagnia petrolifera olandese dovrà risarcire gli agricoltori nigeriani le cui terre furono danneggiate tra il 2004 e il 2007 dalle fuoriuscite di greggio.
La causa contro la Shell
Risale al 2008 la presentazione del caso al Tribunale Internazionale dell’Aia. L’iniziativa nasce da alcuni abitanti dei paesi coinvolti dal disastro, in particolare dei villaggi di Oruma, di Goi e di Ikot Ada Udo. Grazie al sostegno della ONG ambientalista olandese Friends of the Earth, un piccolo gruppo di agricoltori ha avuto il coraggio di protestare contro i danni ambientali subiti dalle loro terre. Le fuoriuscite di greggio dagli oleodotti, infatti, hanno generato grosse ripercussioni sull’agricoltura dell’intera zona. Si parla di oltre 400.000 metri quadrati di superficie compromessa.
La richiesta di risarcimento
A seguito della contaminazione da idrocarburi causata dagli oleodotti della Shell, gli abitanti della zona interessata hanno preteso un risarcimento da parte della compagnia. Richiesta che, dopo 13 lunghi anni di battaglie legali, è stata finalmente accolta. Sono tre, infatti, gli agricoltori del Delta del Niger che saranno risarciti dalla compagnia petrolifera Royal Dutch Shell. Secondo l’analisi effettuata, i danni subiti dai continui sversamenti di petrolio avrebbero reso sterili i loro terreni e avvelenato le vasche per gli allevamenti del pesce. La cifra esatta del risarcimento sarà probabilmente definita nelle prossime settimane. Il colosso petrolifero olandese dovrà occuparsi della decontaminazione della zona. Inoltre, l’azienda sarà obbligata ad attuare delle misure di sicurezza (come ad esempio impianti di vigilanza) al fine di prevenire altri episodi di inquinamento di questo genere.
La difesa della Shell
Secondo la difesa della Shell, la perdita sarebbe stata causata da azioni di sabotaggio. 13 anni di indagini non le hanno però dato ragione: la Corte Internazionale di Giustizia ha ritenuto il fatto non dimostrabile. Inoltre, pur volendo accettare il sabotaggio come causa di una parte della perdita, la responsabilità della Shell resta aperta. Infatti, la natura del danno non rende in alcun modo giustificabile l’entità del versamento avvenuto.
La soddisfazione degli abitanti
La battaglia legale degli ultimi 13 anni ha visto come protagonisti quattro agricoltori nigeriani, che hanno coraggiosamente combattuto per i diritti della loro terra. “Alla fine, c’è un po’ di giustizia per il popolo nigeriano, che ancora subisce le conseguenze del petrolio della Shell”. E’ quanto dichiarato da Eric Dogh, contadino originario di Goi e uno dei membri più attivi della protesta. Il padre, anche lui in prima linea in questa battaglia, non è invece riuscito ad vivere abbastanza per vedere la fine di questo lunghissimo processo. “E’ una vittoria agrodolce”, afferma infatti Dogh, “ma questo verdetto ci dà un po’ di speranza per il futuro“.
Cosa c’è dietro la condanna della Shell
Quello della Corte Internazionale di Giustizia nei confronti della Shell è un verdetto storico, che tende a sottolineare le responsabilità che devono avere, anche all’estero, le società europee. Secondo Channa Samkalden, l’avvocato olandese degli agricoltori nigeriani, “è evidente che Shell ha applicato alla Nigeria un doppio standard”. In Olanda un disastro ambientale come quello creato in Nigeria non sarebbe mai stato tollerato. Era ora di dire basta: lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas dello Stato africano è infatti iniziato negli anni Sessanta. E’ da allora che milioni di nigeriani subiscono le conseguenze dell’inquinamento ambientale. Sono 16.000 i bambini che ogni anno muoiono per cause ambientali. Si stima che l’aspettativa di vita degli abitanti del Delta del Niger sia di 10 anni inferiore rispetto alla media del resto della Nigeria.
I prossimi passi di Friends of Earth
Forte di questa sentenza, la ONG che ha portato avanti la battaglia legale chiede ora alla Commissione europea una nuova legislazione, che renda le aziende responsabili dei danni che possono causare quando svolgono attività all’estero. Friend of the Earth richiede che le normative che valgono sul suolo europeo si rispettino anche altrove, soprattutto nella sfera del diritto ambientale e del rispetto dei diritti umani.