Dopo aver toccato il picco a 24,8 milioni di chilometri quadrati e una profondità dello strato di ozono ridotta a 94 unità Dobson, il buco dell’ozono, sopra l’Antartide, si è finalmente richiuso.
L’organizzazione mondiale della meteorologia (OMM–WMO) afferma che, dopo una stagione eccezionale a causa delle condizioni meteorologiche naturali e della continua presenza di sostanze che riducono l’ozono nell’atmosfera, il buco dell’ozono da record si è chiuso. La OMM ci informa, inoltre, che è stato il buco più duraturo e tra i più grandi e profondi che si ricordi, dall’inizio del monitoraggio di 40 anni fa.
Nei mesi di maggio-giugno (l’inverno australe) il Polo Sud si trova completamente al buio. In quel periodo, nella media e bassa stratosfera (la zona dell’atmosfera compresa tra 10 e 50 km) è evidente l’azione di una forte corrente circumpolare chiamata vortice polare. Questo vortice isola grandi masse d’aria posizionate sopra il polo che, per l’assenza dei raggi solari e per la mancanza di scambio termico con altre masse d’aria, diventano sempre più fredde. Quando la temperatura raggiunge i -80°C, si formano nubi di acido nitrico triidrato chiamate nubi stratosferiche polari (PSC). Queste nubi fanno da catalizzatore per tutta una serie di reazioni che portano alla formazione di cloro e bromo molecolari (Cl2 e Br2).
Durante gli inizi della primavera australe (ottobre-novembre) l’azione dei raggi solari disperde le PSC e scinde cloro e bromo molecolari in cloro e bromo atomici, altamente reattivi. Proprio questi atomi portano alla comparsa del buco dell’ozono poiché coinvolti in reazioni di combinazione con atomi di ozono. Di seguito si riporta un esempio di reazione tra cloro atomico e ozono.
Cl+O3 —> O2+ClO
ClO+O —> O2+Cl
Al termine del complesso meccanismo di reazione l’atomo di cloro è nuovamente disponibile e pronto a reagire con una nuova molecola di ozono.
Questi, sono gli stessi fattori che hanno contribuito al buco record registrato nell’artico sempre nel 2020 e di cui abbiamo parlato qui.
La situazione che si è verificata quest’anno, cioè la presenza di un buco antartico record, si contrappone a quanto accaduto nel 2019. Lo scorso anno, infatti, la riduzione di concentrazione di ozono stratosferico è stata insolitamente bassa e di breve durata. Questa variabilità, però, è indubbiamente utile perché permette di migliorare la comprensione su quali siano i fattori che sono responsabili di formazione, estensione e gravità del fenomeno.
Oksana Tarasova, capo della divisione di ricerca sull’ambiente atmosferico della OMM, ricorda come sia necessaria un’azione internazionale forte e coordinata, nell’applicazione del protocollo di Montreal. È solo così che si potranno ridurre le emissioni di sostanze che provocano la riduzione nei livelli di ozono stratosferico.
Il Protocollo di Montreal è lo strumento operativo del Programma Ambientale delle Nazioni Unite. È, difatti, il metodo di attuazione della Convenzione di Vienna a favore della protezione dell’ozono stratosferico. Sono 197 i paesi del mondo che l’hanno ratificato a partire dal 1988, tra i quali l’Italia. La regolamentazione sull’utilizzo di circa 100 sostanze ha avuto effetti benefici sul graduale incremento della concentrazione di ozono stratosferico. Tra le tante sostanze, per le quali l’uomo si è impegnato a contenere produzione e utilizzo, si ricordano:
Il Protocollo di Montreal, inoltre, disciplina anche scambi commerciali, comunicazione di dati di monitoraggio, attività di ricerca, scambio di informazioni e assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo.
Il 15 ottobre 2016, a Kigali in Ruanda, i 197 Paesi hanno approvato un emendamento che sancisce la vera e propria eliminazione dalla produzione e dall’utilizzo degli idrofluorocarburi. Gli impegni presi a Kigali, dovrebbero portare, tra le altre cose, ad una riduzione delle emissioni di gas serra pari a 80 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente, entro il 2050.
Ed è proprio intorno il 2050/2060 che, si stima, i livelli di ozono stratosferico tornino ai valori precedenti al 1980.
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