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Biofissazione della CO2, energia dalle microalghe

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Nel solo 2018, sono state prodotte 40 miliardi di tonnellate di CO2 di origine antropica. La corsa alla riduzione di gas clima-alteranti, risulta imperativa, e la si approccia su molti fronti. La riduzione della produzione di gas serra passa per la produzione energetica, affidandosi sempre più a fonti rinnovabili o al nucleare. Negli ultimi anni, però, si è iniziato ad affrontare il problema “a valle”, studiando soluzioni per l’assorbimento di gas direttamente dall’atmosfera. Un esempio è quello della biofissazione di anidride carbonica.

Blue carbon

Con Blue carbon, si intende quella parte di diossido di carbonio che viene assorbito ed immagazzinato da ecosistemi marini . Si documenta, in uno studio di Nature Geoscience, la capacità di organismi vegetali marini di convertire CO2 in biomassa. Microalghe, mangrovie ed altri vegetali marini, sebbene ricoprano una bassa percentuale del fondale marino, sono responsabili di oltre il 50% di depositi carboniosi rilevati in sedimenti nei fondali marini. Infatti, convertendo CO2 dell’atmosfera in biomassa, questa precipita sul fondale e, se ciò avviene oltre 1500m di profondità, non si disperderà più in atmosfera. Tale fenomeno, però, è garantito dalla stabilità dell’ecosistema marino, ed è sensibile a variazioni di temperatura e “pulizia” delle acque. Dall’osservazione di questo processo, negli ultimi anni si sono iniziate a studiare applicazioni industriali per sfruttare la capacità di assorbimento degli organismi marini.

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Biofissazione della CO2

La capacità delle alghe di assorbire gas serra, risulta interessante, in quanto è correlata alla produzione di biocarburanti. Infatti, questi microorganismi, tramite fotosintesi clorofilliana, fissano la CO2, ed hanno interessanti applicazioni nel campo dei biocombustibili. Si possono generare biodiesel dalla conversione degli oli contenuti nelle alghe, o sfruttare la biomassa algale residua. Mediante digestione anaerobica, ad opera di batteri, si possono fermentare carboidrati residui per ottenere bioetanolo e il biobutanolo.

Impianto sperimentale ENI di Ragusa

Dal 2017, è attiva a Ragusa una centrale per la sperimentazione della biofissazione della CO2. Tale impianto, è all’avanguardia per la ricerca sulla produzione di biocarburanti di derivazione algale. La fotosintesi algale fissa CO2 che non è derivata dall’atmosfera, ma da gas proveniente dai pozzi del Centro Oli di Enimed.

L’impianto è dotato di 14 fotobioreattori riempiti di acqua e microalghe. Il compito di convogliare la luce e di indirizzarla all’interno dei cilindri alti 5 metri è affidato ad un sistema di pannelli solari a concentrazione e fibre ottiche. All’interno dei fotobioreattori, avviene la riproduzione delle alghe e la conseguente produzione di biomassa. Al termine di tale processo, l’acqua viene filtrata ed estratta la biomassa, la quale verrà essiccata. Biocarburanti e/o biogas, a seconda della lavorazione successiva si ottengono da questa “farina residua”.

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La centrale è in grado di assorbire 80 tonnellate di COproveniente dai pozzi l’anno, per ottenere tra le 20 e le 40 tonnellate di farina.

Nuovo impianto ENI a Novara

È di pochi giorni fa, il 12/11/20, che ENI annuncia l’attivazione di un impianto a Novara per lo sfruttamento industriale delle alghe. Tale centrale si pone come obiettivo la biofissazione della CO2 come materia prima per ottenere prodotti quali farina algale per mercati alimentari/farmaceutici e bio-olio. L’impianto, nato in collaborazione con il Politecnico di Torino, è dotato di 4 fotobioreattori basati su tecnologia Photo B-Othic. I fotobioreattori sono composti da pannelli idraulici innovativi, in cui circolano le micro-alghe, sono equipaggiati con pannelli illuminatori a LED. Questi permettono la modulazione della luce per intensità e frequenza, adattandosi alle condizioni ottimali di sviluppo delle alghe. Stando ai dati raccolti, una struttura analoga con footprint pari a 1 ettaro, può arrivare a produrre 500 tonnellate di biomassa l’anno per ettaro, intrappolando circa 1000 tonnellate di CO2.

Tali soluzioni impiantistiche, risultano promettenti per la riduzione di anidride carbonica, fornendo, contemporaneamente, combustibili con un impatto ambientale minori degli oli fossili.

Articolo a cura di Michele EUGENI