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Le mascherine, insieme a tutti gli altri dispositivi di protezione, stanno generando un importante problema ambientale. Un gruppo di ricercatori della University of Petroleum and Energy Studies in India sta lavorando a un metodo di riciclo. Da esse sarà possibile ricavare un biocombustibile liquido.
Sono miliardi le mascherine utilizzate e gettate ogni giorno nel mondo. L’emergenza sanitaria da Covid-19 sta creando un problema parallelo legato allo smaltimento dei rifiuti prodotti. Tra essi, compaiono tutti quei dispositivi di protezione individuale che, poiché potenzialmente infetti, devono essere gettati nell’indifferenziata.
Secondo le stime del WWF, il solo obbligo di mascherina nelle scuole, potrebbe portare a disperdere circa 270 tonnellate di rifiuti plastici entro la fine dell’anno scolastico. Per non parlare della restante parte della popolazione.
Le mascherine sono ormai un fondamentale strumento di protezione contro la pandemia in corso. Ma sappiamo davvero come sono fatte? Le chirurgiche, se realizzate nel rispetto della normativa UNI EN 14683:2019, sono costituite da:
Secondo i ricercatori indiani, il polipropilene contenuto nelle mascherine chirurgiche potrebbe essere trasformato in un biocombustibile attraverso la pirolisi. Questo processo si realizza attraverso il riscaldamento del polimero a 300-400°C, in assenza di ossigeno. Grazie al calore, il materiale plastico di decompone. Il liquido così ottenuto, detto olio di pirolisi, è un combustibile sintetico utilizzabile in alternativa al petrolio.
Questo metodo di riciclo consente di affrontare nel contempo due dei principali rischi ambientali del momento. Infatti, non solo si riduce così l’impatto ambientale generato dall’enorme consumo di mascherine in tutto il mondo, ma nello stesso tempo si produce una fonte energetica con caratteristiche simili a quelle dei combustibili fossili.
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