L’inquinamento può aver contribuito significativamente alla diffusione del coronavirus? Sì. Lo afferma il SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale), in un position paper in collaborazione con 12 ricercatori italiani. Secondo i dati ricavati, la presenza elevata di PM10 e PM2.5 ha contribuito all’aumento dei numeri dei contagi.
Quello che emerge dal rapporto è una chiara correlazione tra il superamento dei livelli di concentrazione di PM10 e PM2.5 e l’elevato numero dei casi di contagio da COVID-19.
Come spiegano i ricercatori, il particolato atmosferico funge da carrier, ovvero da vettore di trasporto. Attraverso un processo di coagulazione, i virus riescono ad attaccarsi alle particelle solido/liquide che possono rimanere in atmosfera per ora, addirittura giorni. Il particolato costituisce anche un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria.
Anche le condizioni climatiche influiscono sull’attività del virus. Temperature elevate ed elevata radiazione solare favoriscono l’inattività dei virus. Al contrario, ambienti umidi ne potrebbero aumentare il tasso di diffusione. Studi analoghi sono stati condotti nel 2010, quando scoppiò il virus dell’aviaria, nel 2016 in occasione della diffusione dell’RSV (virus respiratorio sinciziale umano), e per la diffusione del morbillo nel 2017.
I dati raccolti circa il particolato risalgono al periodo 10-29 Febbraio 2020. Essi sono il risultato delle misure delle centraline di rilevamento e dei dati forniti dalle agenzie regionali per la protezione ambientale. Tali dati sono stati incrociati con il numero dei contagi da COVID-19 (la cui fonte è la Protezione Civile) riferito al giorno 3 Marzo 2020. La scelta della giornata di analisi porta in conto il periodo di incubazione del virus di circa 14 giorni.
Dai risultati delle analisi si evidenzia una relazione lineare (con parametro di fitting R2=0.98) tra il numero dei superamenti dei limiti di PM10 e il numero di contagiati (posti su scala logaritmica). Si conferma quindi l’influenza dell’inquinamento da particolato atmosferico sulla diffusione del virus COVID-19. Si conduce inoltre una profonda riflessione sul fatto che i maggiori focolai si registrino proprio nel Nord Italia, a differenza delle regioni del centro-sud.
Il paper parla di fenomeno di boost (ovvero di impulso) del virus a causa della concentrazione elevata di particolato. Resta però emblematico il caso di Roma, in cui il fenomeno virulento (ad oggi) si è manifestato in maniera più leggera rispetto alle città della regione Lombardia. I ricercatori evidenziano quanto sia importante lo studio, al fine di prendere le adeguate misure restrittive di contenimento del virus.
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