Il Climate Change Performance Index (CCPI) è uno strumento impiegato per descrivere e valutare in maniera oggettiva e trasparente le politiche internazionali sul tema del cambiamento climatico. Lo studio è condotto annualmente da Germanwatch, NewClimate Institute e Climate Action Network. In particolare, vengono monitorate le performance dei 56 Paesi responsabili della produzione del 90% delle emissioni globali di gas serra (GHG – greenhouse gas). Stando ai dati rilevati, nessuno dei Paesi sembra destinato a raggiungere in tempo gli obiettivi dell’accordo di Parigi, ossia arrestare l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C.
Il CCPI considera 14 fattori facenti riferimento a 4 categorie diverse: “GHG Emissions”, “Renewable Energy”, “Energy Use”, “Climate Policy”. L’indice, inoltre, non solo analizza dati e misurazioni attuali ma effettua dei confronti con i percorsi “virtuosi” che porterebbero ogni Paese a rispettare gli accordi internazionali sul clima.
La classifica del CCPI per il 2019 parte dal quarto posto della Svezia, seguita da Marocco e Lituania, mentre agli ultimi 5 posti troviamo Arabia Saudita, USA (e il presidente Trump cosa ne pensa?), Iran, Corea e Taiwan, che hanno collezionati punteggi bassi in ogni categoria.
Anche la situazione europea non è florida. Infatti, Francia (21° posto), Germania (27° posto) ed anche l’Italia (23° posto) hanno subito un declassamento rispetto allo scorso anno. L’Italia si trova al 30° posto per quanto riguarda le politiche sul clima, al 18° per l’impiego di energia, al 20° per le rinnovabili e al 18° per le emissioni di gas serra. In particolare, viene criticata la mancanza di ambizione nel raggiungimento degli obiettivi della SEN 2017 e l’assenza di un piano ben definito che permetta all’Italia di rinunciare al carbone entro il 2025. Buone intenzioni, quindi, ma senza un buon programma.
Il documento completo è consultabile qui.
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