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Riciclo sostenibile delle batterie al litio: gli aminoacidi sono in prima linea

Illustrazione di alcune batterie (Pexels FOTO9 - www.energycue.it

Illustrazione di alcune batterie (Pexels FOTO9 - www.energycue.it

E’ possibile un riciclo sostenibile delle batterie a litio? Il tutto sarebbe possibile grazie ad alcuni aminoacidi.

Sai quella cosa fastidiosa delle batterie che si scaricano troppo in fretta? Ecco, pensa a tutte le batterie al litio che ogni anno finiscono esauste nei cassetti, nei bidoni o, peggio, nell’ambiente. Eppure, dentro a quelle pile c’è ancora qualcosa di prezioso: litio, cobalto, nichel, manganese. Materiali rari, difficili da estrarre, e non proprio amici dell’ambiente.

Ora, il problema è: come recuperiamo questi elementi senza creare altri disastri ambientali? Le tecniche più comuni usano acidi forti, basi, roba pesante. Funzionano, sì, ma lasciano dietro un bel po’ di inquinamento. E quindi, riciclare diventa un paradosso: facciamo bene da una parte, ma male dall’altra.

E qui entra in gioco una novità che arriva dalla Cina e che sembra promettere bene. Un gruppo di ricercatori ha tirato fuori dal cilindro un sistema di riciclo super efficiente e, soprattutto, più pulito. Invece di usare acidi aggressivi, hanno trovato un modo per recuperare i metalli usando… una soluzione neutra, un aminoacido che si chiama glicina. Sì, glicina, quella che trovi anche nel corpo umano.

Il risultato? Recupero dei metalli quasi totale, in appena 15 minuti e con scarti che non sono tossici. Anzi, la glicina residua potrebbe addirittura essere riutilizzata come fertilizzante. Non è magia, è chimica fatta bene.

Una batteria dentro la batteria

Ok, partiamo da qui: riciclare una batteria al litio non è semplice come spaccarla con un martello. Dentro ci sono strati e strati di materiali incollati, strutture complesse. Per rompere queste strutture e tirare fuori i metalli preziosi, servono reazioni chimiche toste. Di solito, acidi forti. Ma i ricercatori, capitanati da Lei Ming e Xing Ou, hanno deciso di cambiare approccio. Hanno creato quello che potremmo chiamare una “microbatteria” direttamente dentro la soluzione. Immagina: prendi le particelle del catodo esausto (quelle robe nere e tostate dopo che la batteria ha finito il suo lavoro) e le mescoli con un po’ di sale di ferro, ossalato di sodio e la nostra mitica glicina. Il tutto in un liquido neutro.

E sai cosa succede? Si forma una specie di guscio sottile attorno alle particelle: è ferro(II) ossalato, che si comporta come un anodo. L’interno delle particelle fa da catodo. Risultato? Hai creato una mini reazione a batteria. E questa reazione è quella che rompe la struttura della batteria originale. Un po’ come aprire una scatola chiusa senza usare la forza bruta, ma con l’ingegno. In pratica, si crea un flusso di elettroni che rompe gli ossidi dentro al catodo e rilascia litio, nichel, cobalto e manganese. Tutto in modo controllato, in soluzione neutra. Niente acidi, niente gas velenosi.

Illustrazione di alcune batterie (pexels FOTO) - www.energycue.it
Illustrazione di alcune batterie (Pexels FOTO) – www.energycue.it

Glicina, la piccola aiutante

E qui entra in scena la vera star di questa storia: la glicina. Un piccolo aminoacido, semplice e versatile. Fa due cose geniali: primo, cattura gli ioni metallici appena liberati, legandoli in complessi stabili. Secondo, mantiene il pH della soluzione stabile, neutro. E questo è fondamentale per non creare reazioni indesiderate.

Risultato? In appena un quarto d’ora, si riesce a recuperare il 99,99% del litio, il 96,8% del nichel, il 92,3% del cobalto e il 90,5% del manganese. Tempi record, impatto ambientale quasi nullo, costi più bassi rispetto ai metodi tradizionali. E il residuo? Quasi nulla di tossico, e addirittura potenzialmente riutilizzabile.