Un nuovo metodo per convertire l'energia nucleare (depositphotos.com) - www.energy.it
Ricavare energia dai rifiuti nucleari? Si, è possibile. Ecco la batteria che trasforma le scorie radioattive in elettricità
L’energia nucleare ha da sempre suscitato un acceso dibattito per il suo potenziale nella produzione di elettricità a basse emissioni di carbonio, ma anche per le problematiche legate alla gestione dei rifiuti radioattivi.
Controverso è anche il punto pertinente al dover o meno produrre la propria energia nucleare. Altrettanto controverso è per l’appunto la suddetta gestione di questi rifiuti data la delicata questione ambientale.
Come detto da diverse fonti, i rifiuti per essere riciclati possono essere collocati in strutture di stoccaggio intermedio dopo il trattamento.
Il trasporto in un deposito permanente è poi il passo finale. Il metodo di smaltimento scelto dipende dalle caratteristiche dei rifiuti; questo può includere lo smaltimento geologico profondo, che conserva i rifiuti in formazioni geologiche stabili in profondità nel sottosuolo.
Un nuovo studio dell’Ohio State University introduce una soluzione innovativa che potrebbe trasformare questi scarti in una preziosa risorsa energetica. Approfondiamo meglio.
I ricercatori hanno sviluppato una batteria in grado di convertire l’energia nucleare in elettricità attraverso l’emissione luminosa. Il sistema sfrutta cristalli scintillatori, materiali ad alta densità che emettono luce quando assorbono radiazioni, combinandoli con celle solari per trasformare questa luce in corrente elettrica. Questo processo permette di catturare l’energia rilasciata dalle scorie nucleari e convertirla in una fonte di energia utilizzabile.
Il prototipo, di dimensioni pari a circa 4 centimetri cubici, è stato testato nel Nuclear Reactor Laboratory dell’Ohio State University. Gli esperimenti hanno impiegato due delle più comuni fonti di scorie nucleari: il cesio-137 e il cobalto-60. I risultati hanno dimostrato che con il cesio-137 la batteria è stata in grado di generare 288 nanowatt di potenza, mentre con il cobalto-60 il valore è salito a 1,5 microwatt. Sebbene questa potenza sia ancora modesta, la ricerca suggerisce che con un’adeguata scalabilità si potrebbe raggiungere una produzione energetica più significativa.
Secondo i ricercatori, questa tecnologia potrebbe trovare impiego in ambienti in cui la radiazione è già presente, come nei depositi di scorie nucleari o nei sistemi nucleari per missioni spaziali o esplorazioni sottomarine. Inoltre, la batteria non contiene materiali radioattivi al suo interno, rendendola sicura al contatto. Il vantaggio principale risiede nella sua longevità e nella capacità di operare in condizioni estreme senza necessità di manutenzione frequente.
Lo sviluppo di questa tecnologia non è però privo di ostacoli. Per rendere il sistema più efficiente e scalabile, i ricercatori dovranno perfezionare i materiali impiegati, migliorare la progettazione dei cristalli scintillatori e ottimizzare le celle solari per massimizzare la conversione energetica. Il professor Raymond Cao, autore principale dello studio, sottolinea come la sfida principale sia rendere questa tecnologia economicamente sostenibile su larga scala.
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