Esperimento sulle celle a perovskite (Li Guixiang foto) - www.energycue.it
Celle solari a perovskite: una tecnologia davvero promettente, ma purtroppo la stabilità è ancora un problema.
Le celle solari a perovskite stanno attirando sempre più attenzione nel mondo dell’energia rinnovabile. Hanno un potenziale enorme: alte efficienze e costi di produzione ridotti, due caratteristiche che potrebbero renderle una vera alternativa al silicio tradizionale. Il problema? Non sono ancora abbastanza stabili per resistere alle condizioni atmosferiche per decenni. E quando si parla di energia solare, la durata è fondamentale.
Uno dei grandi vantaggi di questa tecnologia è che alcune varianti di perovskiti metal-alogenuri hanno già raggiunto efficienze vicine al 27%. In più, il loro processo produttivo è estremamente snello, richiedendo poca materia prima e consumando meno energia rispetto ad altre tecnologie fotovoltaiche. Insomma, sulla carta, queste celle potrebbero rendere l’energia solare più accessibile ed economica. Ma il vero test è il tempo: per diventare una soluzione concreta, devono garantire prestazioni stabili per almeno 20-30 anni.
E qui le cose si complicano. Una cella solare non lavora in laboratorio, ma in condizioni reali, esposta a sole, pioggia, vento e sbalzi di temperatura. Il problema più grande? Le variazioni termiche tra giorno e notte e tra le stagioni. Anche con tecniche avanzate di incapsulamento, che proteggono dall’umidità e dall’ossigeno, il calore rimane una sfida. In certi ambienti estremi, come il deserto, la temperatura all’interno dei moduli può passare da -40°C a oltre 100°C. Uno stress continuo che, nel tempo, mette a dura prova la struttura del materiale.
Le celle a perovskite sono composte da diversi strati di materiali, ognuno con proprietà fisiche diverse. E qui sta il problema principale: quando alcuni strati si dilatano con il calore e altri si contraggono, si crea uno stress che danneggia le interfacce tra i materiali. Questo porta nel tempo a microfratture, perdita di aderenza tra gli strati e, di conseguenza, a un calo dell’efficienza della cella.
Un team internazionale guidato dal professor Antonio Abate ha analizzato nel dettaglio questo problema, pubblicando i risultati sulla rivista Nature Reviews Materials. In collaborazione con ricercatori di diversi paesi, tra cui Italia, Cina, Spagna, Regno Unito, Svizzera e Germania, hanno dimostrato che il vero nemico della stabilità delle celle a perovskite è proprio lo stress termico.
Per capire meglio il fenomeno, hanno sottoposto le celle a condizioni ancora più estreme rispetto a quelle naturali: cicli di temperatura che andavano da -150°C a +150°C, ripetuti più volte. Questo ha permesso di osservare da vicino cosa succede ai materiali sotto stress. Il risultato? Le alte temperature causano transizioni di fase locali, mentre il continuo alternarsi di caldo e freddo porta alla diffusione di elementi tra gli strati, peggiorando la qualità del contatto tra di essi. In pratica, col tempo la struttura della cella si degrada, riducendone l’efficienza.
Sulla base di questi dati, i ricercatori hanno individuato alcune strategie per aumentare la durata di queste celle. La soluzione più promettente è migliorare la qualità cristallina della perovskite e utilizzare strati tampone tra i materiali, in modo da ridurre l’effetto dello stress termico. Inoltre, sottolineano l’importanza di test standardizzati per valutare la stabilità delle celle, permettendo di confrontare in modo più chiaro i risultati delle diverse ricerche.
Questi studi rappresentano un passo avanti verso celle a perovskite più resistenti e affidabili. La strada è ancora lunga, ma con le giuste ottimizzazioni, questa tecnologia potrebbe finalmente diventare un pilastro dell’energia solare del futuro.
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