Il permafrost si scioglie: una gran quantità di carbonio verrà rilasciata in futuro
Il permafrost continua a sciogliersi, e la situazione diventa sempre più critica. Verrà rilasciata una quantità enorme di CO2.
Il permafrost è, in parole semplici, quel terreno che resta ghiacciato per almeno due anni di fila. Sì, hai letto bene: non si parla solo di ghiaccio superficiale, ma proprio di uno strato di suolo, rocce e roba organica che rimane congelata sotto la superficie.
Lo trovi soprattutto nelle regioni polari tipo Siberia, Alaska, Canada e Groenlandia, ma anche in alcune zone montane ad alta quota. Pensa che copre circa un quarto delle terre emerse dell’emisfero nord.
Ma, con i cambiamenti climatici, queste regioni ghiacciate si stanno sciogliendo ad una velocità inimmaginabile. In primis, potrebbe stravolgere gli ecosistemi locali in quanto si tratta di terreno ghiacciato che copre circa un quarto delle terre emerse nell’emisfero settentrionale e ha una storia che si estende da 1,8 milioni a 10.000 anni fa.
tantissimi organismi ed entità biologiche, come virus e batteri, sono rimasti bloccati lì per milioni di anni e potrebbero causare danni incalcolabili. In secondo luogo, è fondamentale per la stabilità del suolo e degli ecosistemi. Ciò che però si dimentica quando si parla di permafrost è la quantità di gas “intrappolata” lì. Per esempio, contiene il doppio del carbonio presente nell’atmosfera. Dovesse continuare a sciogliersi, la situazione diventerà sempre più grave.
Le conseguenze della fusione del permafrost
Allora, cosa succede quando il permafrost inizia a sciogliersi? Beh, il risultato è il rilascio di gas serra come la CO2 e il metano (CH4). E pensate un po’: il metano è 28 volte più “potente” della CO2 in termini di effetto serra! Questo porta a un circolo vizioso: più permafrost si scioglie, più gas serra vengono rilasciati, e di conseguenza, abbiamo un maggiore riscaldamento globale.
Negli ultimi 20 anni, l’Artico ha già rilasciato circa 144 milioni di tonnellate di carbonio. E se il permafrost antartico dovesse sciogliersi completamente? Potremmo trovarci di fronte a un rilascio di 150-200 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. Una prospettiva piuttosto allarmante, che non va assolutamente sottovalutata.
Il progetto SENECA
Parlando di permafrost, una delle aree più interessanti è la Taylor Valley in Antartide. Fa parte delle McMurdo Dry Valleys, che non hanno copertura glaciale, permettendo l’accesso diretto al permafrost. Questo ambiente, unico è perfetto per studiare i processi di fusione e il rilascio di gas serra. Qui entra in gioco il progetto SENECA, coordinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Utilizzando tecnologie geofisiche avanzate, il progetto sta mappando il permafrost e ha identificato alcune falde saline (brine) a diverse profondità.
Ci sono fondamentalmente due sistemi: uno superficiale, collegato ai laghi, e uno profondo, su scala regionale. Ecco la parte interessante: queste brine salate possono accelerare la fusione del permafrost dal basso! Durante le ricerche, sono state rilevate elevate concentrazioni di CO2, CH4 e elio (He) nel suolo. La presenza di elio è un segno di un’origine profonda dei gas, direttamente connessa al sistema di brine. La fusione del permafrost antartico potrebbe trasformare la regione da un serbatoio di carbonio a una vera e propria fonte di emissioni. È davvero urgente intensificare la ricerca per monitorare e modellare questi processi, e il progetto SENECA rappresenta un passo cruciale per comprendere e mitigare i rischi climatici.