Eni ha ceduto i suoi giacimenti in Alaska per 1 miliardo di dollari, chiudendo definitivamente la sua avventura nel North Slope.
L’Alaska è un posto unico al mondo, una terra di contrasti estremi dove natura selvaggia e industria petrolifera convivono da decenni. Oltre a essere un paradiso per gli amanti dell’avventura, questo territorio è anche una delle aree più ricche di giacimenti di greggio degli Stati Uniti. La scoperta del petrolio nel 1967 ha cambiato tutto, trasformando l’economia locale e rendendo l’Alaska un punto nevralgico per l’estrazione di idrocarburi.
Il North Slope, in particolare, è diventato il cuore pulsante di questa industria, grazie a giacimenti enormi come Prudhoe Bay, uno dei più grandi mai trovati nel Paese. Ma trivellare in Alaska non è certo una passeggiata: temperature glaciali, condizioni ambientali proibitive e una regolamentazione sempre più severa rendono tutto più complicato. Il Mare di Beaufort e le riserve protette dell’Artico sono da anni al centro di una battaglia tra chi vuole estrarre petrolio e chi, invece, vuole proteggere questi ecosistemi unici.
Il governo americano non ha mai avuto una linea chiara e univoca su questo tema. L’amministrazione Biden, ad esempio, aveva annullato i contratti di esplorazione nell’Arctic National Wildlife Refuge, concessi all’ultimo minuto da Trump, per proteggere oltre 51.000 km² di territorio. Ma poi ha approvato il contestato progetto “Willow” della ConocoPhillips, che potrebbe arrivare a produrre fino a 180.000 barili al giorno. Decisioni che hanno fatto discutere parecchio, dividendo sia la politica che l’opinione pubblica.
In questo scenario complesso, anche Eni ha giocato le sue carte. Il colosso italiano ha iniziato a investire in Alaska nel 2011, con lo sviluppo del giacimento offshore Nikaitchuq, al largo del North Slope. Negli anni, la produzione è cresciuta fino a toccare i 25.000 barili al giorno, mentre l’acquisizione del giacimento di Oooguruk ha consolidato la sua presenza nella regione. Nel 2018, con l’acquisto di 124 licenze esplorative, sembrava che Eni puntasse a rafforzare ulteriormente la sua posizione. Ma le difficoltà operative, i costi elevati e il cambio di strategia hanno portato a una svolta drastica.
A giugno 2024, Eni ha annunciato ufficialmente la cessione dei suoi asset petroliferi in Alaska alla Hilcorp Energy, una compagnia indipendente texana già molto attiva nel North Slope. L’operazione, finalizzata lo scorso novembre, ha un valore di 1 miliardo di dollari e segna la fine dell’esperienza di Eni in questa regione. Con questa acquisizione, Hilcorp si rafforza ulteriormente in Alaska, integrando Nikaitchuq e Oooguruk nelle sue operazioni a Prudhoe Bay e Milne Point.
Per Hilcorp, questo affare è un’opportunità enorme. Il CEO Greg Lalicker ha spiegato che l’azienda userà la tecnologia di “polymer flooding”, già testata con successo a Milne Point, per aumentare l’efficienza estrattiva nei nuovi giacimenti. Per Eni, invece, questa vendita rientra in un piano più ampio di riorganizzazione, con l’obiettivo di raccogliere 8 miliardi di euro entro il 2025, riducendo la presenza in aree non strategiche. Ma l’azienda italiana non lascia gli USA: continuerà a operare nel Golfo del Messico e punterà forte sulla transizione energetica, con investimenti in energie rinnovabili e biocarburanti.
Con questa mossa, Eni chiude un capitolo lungo più di un decennio, scegliendo di concentrarsi su mercati più redditizi nel lungo periodo. La compagnia sta adattando le sue strategie alla realtà di un settore in piena trasformazione, dove la corsa ai fossili convive con la necessità di trovare alternative.
Per Hilcorp, invece, si apre una nuova fase: l’Alaska rimane una delle regioni chiave per l’industria petrolifera americana, e con questa acquisizione il North Slope continuerà a giocare un ruolo fondamentale nell’approvvigionamento energetico degli Stati Uniti.
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