I nativi americani erano così legati all’ambiente che il loro sterminio cambiò il clima globale
Lo sterminio dei nativi americani, probabilmente, ha portato a un notevole, nonché decisivo, cambiamento climatico.
La storia è una delle discipline fondamentali, per comprendere il mondo in cui viviamo. Perché attraverso lo studio degli eventi del passato, l’umanità può analizzare il proprio percorso, riconoscere errori e successi, e trarre insegnamenti preziosi, per quelle sfide presenti, e future.
Conoscere la storia, non a caso, aiuta a sviluppare un senso di identità e appartenenza culturale. Poiché le vicende del passato, offrono una lente attraverso cui poter interpretare tradizioni, valori, e comportamenti che definiscono le diverse società. Un legame, con le radici, che favorisce un dialogo fra le generazioni, contribuendo alla coesione sociale.
La storia, ovviamente, non è solo un elenco di date ed eventi, ma uno strumento vero e proprio, mediante cui sviluppare il pensiero critico. D’altronde, analizzare fonti, confrontare interpretazioni, e valutare cause ed effetti, stimola la capacità di riflettere, in modo approfondito e consapevole.
Lo studio della storia, infine, si rivela esser cruciale, dal momento che promuove la tolleranza e il rispetto. Comprendere quelle differenze culturali, e i conflitti verificatisi nel passato, può aiutare a costruire un mondo più inclusivo, evitando di ripetere gli errori che hanno segnato l’umanità. E in questo senso, la storia non è solo uno sguardo al passato, ma una guida per il futuro.
Lo sterminio dei nativi americani
Dopo l’arrivo di Cristoforo Colombo, in America, i colonizzatori europei, entrarono in conflitto con le popolazioni indigene, sterminandole attraverso guerre, e la diffusione di malattie, come il vaiolo e il morbillo. Le conseguenze, furono, dunque, catastrofiche, poiché la popolazione autoctona, diminuì del 90%. Un qualcosa che, secondo uno studio pubblicato su “Quaternary Science Reviews”, influì, insieme ad altri fattori, al raffreddamento globale, il quale caratterizzò la cosiddetta “Piccola Era Glaciale”, durata dal 1300 al 1870.
Lo sterminio di, circa, 56 milioni di indigeni, portò all’abbandono di vaste aree agricole. La natura si riappropriò di queste terre, e ritornò a ricoprire, pressappoco, 55 milioni di ettari (estensione pari, all’attuale Francia, ma comprensiva di alberi e vegetazione). Gli studiosi, hanno stimato, siffatta superficie, basandosi su dati relativi all’uso del suolo, da parte delle società indigene contemporanee. Traducendoli, quindi, in proiezioni storiche; come spiegato dal coordinatore della ricerca, Alexander Koch.
Il cambiamento climatico
La riforestazione naturale, aumentò l’assorbimento di CO2 dall’atmosfera, causando una diminuzione della temperatura globale dello 0,15 °C (o giù di lì), tra la fine del 1500, e l’inizio del 1600. E sebbene, i principali fattori della Piccola Era Glaciale, fossero eruzioni vulcaniche, e minore attività solare, lo studio suggerisce che la riforestazione abbia avuto un ruolo secondario, ma davvero significativo.
Un evento storico, che dimostra come la riforestazione, su larga scala, possa influire sul clima. Anche se, oggi, per contrastare l’aumento di CO2, causato dai combustibili fossili, servirebbe riforestare un’area grande come l’intera Francia, così da poter compensare almeno due anni di emissioni attuali.