La solastalgia è una sensazione sempre più comune tra le persone, e si lega a doppio filo con il cambiamento climatico.
Hai mai sentito parlare di “solastalgia”? Il termine è un po’ strano, vero? Ma in realtà descrive qualcosa di molto familiare a tanti: quel senso di malessere e sconforto che si prova vedendo cambiare, spesso in peggio, i luoghi che amiamo. Non si tratta solo di malinconia per un passato lontano, ma di un dolore che si vive qui e ora.
È la consapevolezza che la nostra casa, il nostro ambiente, stia cambiando sotto i nostri occhi, diventando irriconoscibile. È stato un filosofo australiano, Glenn Albrecht, a coniare questa parola nel 2003, cercando di dare un nome al disagio delle comunità colpite dall’estrazione mineraria. Una parola che, purtroppo, è diventata sempre più attuale con il tempo.
Alcuni gruppi di persone sono più esposti a questa sofferenza rispetto ad altri. Gli agricoltori, le comunità rurali, i popoli indigeni: per loro, la terra non è solo un luogo, ma una parte fondamentale della loro identità. Quando questa terra viene distrutta o alterata, si porta via una parte di loro. Anche chi abita in città può provare questo sentimento: l’urbanizzazione frenetica, la scomparsa dei vecchi quartieri, l’inquinamento… sono tutte ferite che lasciano il segno.
E poi c’è il caso dei giovani. Quante volte hai visto manifestazioni per il clima organizzate da ragazzi e ragazze? Non lo fanno solo per moda. Molti di loro sono davvero preoccupati per il futuro, spaventati dall’idea di ereditare un mondo in rovina. È una preoccupazione che nasce dall’ansia di vivere su un pianeta che sembra non ascoltare più le loro richieste di cambiamento.
I sintomi della solastalgia possono essere davvero pesanti da gestire. C’è chi si sente ansioso, chi cade in depressione, chi prova un senso costante di impotenza. A volte è difficile perfino spiegare questo disagio a parole, ma chi ne soffre spesso lo descrive come un senso di sradicamento, di perdita di connessione con ciò che prima dava conforto. Il paesaggio cambia e, con esso, cambia il modo in cui percepiamo la nostra casa.
La realtà, insomma, sembra scivolare via, lasciandoci spaesati e insicuri. E questo non resta confinato solo alla mente: le emozioni possono influenzare il corpo, indebolendo le difese immunitarie e causando malesseri fisici. La solastalgia è anche questo: un trauma che ti accompagna ogni giorno e si insinua nella tua quotidianità, complicando le relazioni, minando la stabilità.
Cosa fare, allora? Prima di tutto, serve riconoscere che la solastalgia non è un capriccio. È un disagio reale, condiviso da tante persone. Parlare di ciò che si prova aiuta, così come costruire reti di sostegno nelle comunità colpite. A volte basta sapere di non essere soli per sentire un po’ di sollievo. E poi ci sono terapie, gruppi di supporto, interventi che aiutano a mettere ordine nel caos emotivo.
Ma c’è un altro punto importante: ridare potere alle persone. Le comunità possono essere coinvolte in progetti di tutela ambientale, sostenibilità e gestione del territorio. Sentirsi parte di un cambiamento positivo è un modo per riconquistare un po’ di controllo, per trasformare la solastalgia in una forza motrice. Anche i governi hanno un ruolo: creare politiche che proteggano i luoghi e le persone, invece di lasciare che l’ambiente venga sacrificato al progresso. In fondo, prendersi cura di ciò che ci circonda è prendersi cura di noi stessi.
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