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SHEIN, tra sostanze tossiche e danni all’ambiente: cosa sta succedendo

Shein

SHEIN (Depositphotos FOTO) - www.energycue.it

Dalle stelle al centro della polemica SHEIN è da mesi il fulcro delle discussioni. Il dilemma consiste nel decidere se utilizzare i suoi servizi per rivoluzionare l’armadio o rifuggirli per protestare contro le controversie del marchio.

Shein è la scelta di molti al giorno d’oggi, ma è davvero un acquisto sicuro? La risposta a questa domanda è il cardine del dibattito su giornali e social. Dalle ultime notizie è emerso come gli indumenti commercializzati dal colosso cinese contengano molte tossine e composti non sicuri. Tuttavia, i prodotti di Shein vengono tutt’ora comprati dalla maggioranza per i loro costi esigui e la loro capacità di “ricorrere” la moda.

Shein, l’azienda di fast fashion cinese fondata nel lontano 2008 da Chris Xu a Nanchino, ha raggiunto il massimo della popolarità nel 2020 quando ha spopolato nelle discussioni social su TikTok e Youtube. Originariamente nata come marchio dedicato ai soli abiti da sposa, il colosso ha ben presto ampliato le proprie vedute servendosi del mercato di abbigliamento all’ingrosso Guangzhou. La genialità di Shein sta nel fatto di essere stata in grado di sfruttare il così denominato drop shipping, ovvero quel modello che consiste nel vendere la merce direttamente al cliente finale, senza di fatto possederlo, servendosi di terzi.

L’altro elemento che ha reso la piattaforma così competitiva è stato legato ai social: l’azienda ha imposto la sua supremazia nel mercato grazie alla pubblicità elargita da Facebook, Instagram e Pinterest. Anche la collaborazione con i fashion blogger ha servito al suo scopo. Dal novembre 2021 il valore dell’azienda è cresciuto fino al valore di 30 miliardi di dollari, grazie anche un fatturato di 10 miliardi maturato solamente durante la pandemia.

Una delle ultime lamentele risale a fine settembre, quando una consumatrice ha fatto un’amara scoperta. Tramite un urlo in diretta social Emma ha palesato il proprio disgusto davanti alla raccapricciante scoperta di aver ricevuto vestiti ricoperti da vermi. Qualche giorno fa a tutto questo si aggiunta la disavventura di una studentessa diciottenne dell’Università di Bristol, che ha trovato in un pacco di SHEIN persino uno scorpione vivo. Questi episodi si sommano all’alta quantità di sostanze tossiche che è stata rilevata nei capi del colosso cinese.

Sostanze tossiche nei vestiti

Le ormai molto riconoscibili confezioni Shein
Le ormai molto riconoscibili confezioni SHEIN (Depositphotos FOTO) – www.energycue.it

La vicenda delle sostanze tossiche ha sicuramente preso vita grazie alla denuncia di Greenpeace. Dai dati emersi dalle analisi condotte da un laboratorio in Germania sembrerebbe che il 15% dei capi targati SHEIN contenga sostanze chimiche pericolose in quantità superiori a quelle consentite dalla legge europea. Secondo il rapporto Taking the shine off Shein, sui 47 prodotti oggetto di ricerca il 32% contiene un quantitativo di sostanze nocive che potrebbe recare danno in prima battuta all’uomo e in secondo luogo anche all’ambiente.

Secondo Greenpeace “il marketing astuto di Shein bombarda i giovani, attraverso nuove piattaforme di social come TikTok, con prodotti venduti a prezzi stracciati, promossi da influencer che ottengono in cambio prodotti gratuiti e altri vantaggi per fare pubblicità”. Questo costituisce un motivo di preoccupazione non indifferente per i giovani. Dalle analisi svolte da un tribunale indipendente è emerso che nei prodotti vi erano presenti sostanze come formaldeide, ftalati, Pfas e metalli pesanti. Nei vestiti sono stati rilevati ftalati in concentrazioni superiori a 100mila mg/kg e formaldeide in dosi sino a 130 mg/kg. Questi composti sono presenti in quantitativi che violano le norme varate dall’Europa. Tali norme sono note e sono riassunte nel regolamento REACH, ovvero Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals e conosciuto anche come regolamento n.1907/2006.

La pericolositò di ftalati e formaldeide

La formaldeide è una sostanza che torva largo impiego nell’imbalsamazione e nella realizzazione di manufatti, rivestimenti e schiume. È risaputo che la sua presenza nell’aria in concentrazioni superiori allo 0,1 pm può portare a irritazioni a mucose e occhi. La sua cancerogenicità è cosa acclarata nei roditori, tanto che l ‘Associazione Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) nel 2004 l’ha annoverata tra le sostanze cancerogene. La pericolosità ingloba senza dubbio gli ftalati, composti usati nelle plastiche e che hanno trovato diffusione dalla commercializzazione del PVC.

Da tempo è stato provato il loro ruolo nell’obesità, nell’asma, nel disturbo da deficit dell’attenzione, nel danneggiamento degli spermatozoi e nell’interferenza con la crescita di un feto. Nei capi sono stati trovati anche metalli pesanti come il piombo, noto per la sua tossicità verso gli organi riproduttivi. Un altro composto pericoloso rilevato è stato il cadmio, che in dosi elevate può danneggiare persino reni e ossa. I vestiti di SHEIN godono di un certo successo anche per i propri prezzi stracciati: ma vale la pena comprare qualcosa che potrebbe essere tossico?

Da Greenpace all’antitrust

Purtroppo la multinazionale asiatica non ha dovuto patire solo le critiche e la denuncia di Greenpeace. Secondo l’Antitrust l’azienda ha veicolato e veicola messaggi non veritieri riguardo la sostenibilità dei propri capi. L’obiettivo sarebbe quello di crescere sfruttando la sensibilità che le persone hanno su questo tema. L’autorità ha aperto, ad oggi, un esposto su Infinite Styles Services co. Limited, ovvero l’azienda di Dubino che gestisce l’e-commerce del sito italiano.

I rapporti sulla sostenibilità sembrano non convincere l’Agcm e registrano un aumento delle emissioni contrariamente a ciò che era stato dichiarato. La presenza di sostanze tossiche come antimonio, dimetilformammide, piombo, cadmio, ftalati vietati, naftalene e idrocarburi policiclici aromatici è stata inserita persino in un’inchiesta della rivista tedesca Oko-test. I risultati corroborano la denuncia di Green peace e la domanda che ci poniamo ora è: vale davvero la pena spendere poco per avere ancora meno?