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I resi online non sono un’abitudine sostenibile

Reso di un pacco (Depositphotos foto)

Reso di un pacco (Depositphotos foto) - www.energycue.it

I resi online, ormai applicati in molti settori di vendita, hanno un impatto ambientale devastante per tantissimi motivi. 

I resi online sono diventati una parte integrante del comportamento d’acquisto di moltissimi consumatori. Non si tratta solo di una questione di moda o di gusti personali, ma di un vero e proprio fenomeno sociale che ha preso piede negli ultimi anni. L’acquisto online, spesso visto come un modo per semplificare la vita, ha trasformato le nostre abitudini e, in particolare, ha reso sempre più comune il concetto di “comprare per provare” a casa propria.

Questa pratica si è diffusa soprattutto durante la pandemia, quando le restrizioni alla mobilità e la chiusura dei negozi fisici hanno spinto molte persone verso gli acquisti digitali. I resi gratuiti e illimitati sono diventati un incentivo potente per i clienti, che si sono abituati a ordinare più prodotti, sapendo di poterli restituire facilmente. Tuttavia, dietro questa apparente comodità si nasconde una questione che va oltre il semplice consumo: l’impatto ambientale.

Ogni reso comporta un notevole impiego di risorse. Oltre all’energia e ai materiali utilizzati per produrre e spedire gli articoli, bisogna considerare il consumo di carburante per il trasporto e le emissioni di CO2 generate dai vari passaggi logistici. Questo ciclo si ripete ogni volta che un prodotto viene restituito, peggiorando una situazione già critica in termini di sostenibilità.

La “moda dei resi” riguarda soprattutto il settore dell’abbigliamento, dove i consumatori sono abituati a provare più capi comodamente a casa, ma il fenomeno si estende anche a settori come l’elettronica e i cosmetici. La domanda sorge spontanea: possiamo continuare a seguire questa tendenza senza compromettere il nostro futuro?

I settori più colpiti dalla pratica dei resi

Uno dei principali responsabili di questa nuova abitudine è il fast fashion, un settore che spinge all’acquisto continuo e rapido di abiti a basso costo. Questa tendenza, già ampiamente criticata per l’impatto che ha sulla produzione e sullo smaltimento degli indumenti, si aggrava ulteriormente con l’aumento dei resi. Molti capi, una volta restituiti, non vengono rimessi in vendita, ma finiscono nelle discariche o inceneriti.

Non solo la moda è coinvolta: anche l’elettronica e i cosmetici sono settori che generano un enorme numero di resi. Spesso, i prodotti elettronici, una volta restituiti, non possono essere rivenduti come nuovi, portando a un aumento dei rifiuti. Nel caso dei cosmetici, invece, molti articoli non possono essere riutilizzati per motivi igienici, generando ulteriori sprechi.

Resi nell'abbigliamento (Depositphotos foto)
Resi nell’abbigliamento (Depositphotos foto) – www.energycue.it

L’impatto ambientale e le possibili soluzioni

Come emerge da un report di Greenpeace, dietro ogni reso online si nascondono chilometri di trasporto, consumi di carburante e imballaggi inutili. Recenti studi hanno dimostrato che, mediamente, ogni capo di abbigliamento reso percorre migliaia di chilometri, contribuendo ad aumentare in modo significativo le emissioni di CO2. La quantità di materiali utilizzati per confezionare e trasportare gli articoli si traduce in tonnellate di plastica e cartone che spesso non vengono riciclati.

Le soluzioni non mancano. Alcune aziende stanno iniziando a introdurre pratiche più sostenibili, come il ricondizionamento dei prodotti resi o la promozione di acquisti più consapevoli. Anche le normative stanno cambiando, come dimostrano le leggi antispreco adottate in Francia, ma molto resta ancora da fare per ridurre questo impatto crescente.