La scelta di Dubai, cuore pulsante degli Emirati Arabi Uniti (EAU), come sede della ventottesima Conferenza delle Parti (COP28) delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, ha acceso un vivace dibattito internazionale. Dubai, città che si erge tra paesaggi naturali protetti e lo sfarzoso skyline dominato dal Burj Khalifa, rappresenta in qualche modo il paradosso degli Emirati: un paese che, pur essendo il settimo produttore mondiale di petrolio e altrettanto elevato in termini di emissioni di gas serra pro capite, si propone come palcoscenico per discussioni ambientali globali.
Al centro della tempesta mediatica si trova Sultan Ahmed Al Jaber, presidente della COP28 e amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), una delle maggiori compagnie petrolifere al mondo. La sua nomina ha suscitato aspre critiche da parte di attivisti ambientali, politici e opinionisti, preoccupati per un potenziale conflitto di interessi che potrebbe minare l’efficacia e l’obiettività della conferenza.
Gli EAU, con un PIL pro capite tra i più alti al mondo, hanno costruito la loro prosperità sull’oro nero, il petrolio. Questa ricchezza, tuttavia, si scontra con i crescenti problemi ambientali globali, in cui il settore energetico gioca un ruolo critico. La nazione è membro fondatore dell’OPEC e ha piani ambiziosi per aumentare la propria produzione petrolifera, mentre allo stesso tempo si confronta con uno dei climi più caldi del pianeta e notevoli disuguaglianze economiche.
Al Jaber difende la sua posizione come presidente della COP28, sottolineando l’importanza di un approccio inclusivo che coinvolga anche i rappresentanti dell’industria dei combustibili fossili. Questa visione, tuttavia, è accolta con scetticismo da molti esperti e attivisti ambientali, che vedono un rischio di rallentamento nelle azioni di contrasto al cambiamento climatico.
La presenza dell’industria petrolifera in eventi simili non è nuova: già durante la COP27 in Egitto, vi è stata una significativa partecipazione di lobbisti legati al settore dei combustibili fossili. Questo aspetto solleva domande sulla genuina volontà di questi attori di contribuire a una transizione energetica sostenibile e sulla loro possibile influenza nelle decisioni della conferenza.
Infine, vi è preoccupazione riguardo alle limitazioni alla libertà d’espressione negli EAU, che potrebbero influenzare la partecipazione e la visibilità degli attivisti ambientali durante la COP28. Sebbene il governo emiratino abbia promesso di consentire manifestazioni pacifiche, rimangono dubbi sulla reale possibilità di proteste significative e influenti.
La COP28 di Dubai, quindi, si presenta come un evento carico di sfide e contraddizioni. La posizione degli Emirati Arabi Uniti nel panorama energetico globale e la nomina di Al Jaber come presidente sollevano interrogativi fondamentali sul futuro della lotta al cambiamento climatico e sulla capacità di questi incontri internazionali di promuovere reali cambiamenti verso la sostenibilità.
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