Le “armi chimiche” possono essere definite come: composti chimici tossici, destinati a uccidere, ferire o rendere incapace il personale nemico. Nel corso del tempo, la ricerca su questa tipologia di composti ha prodotto un gran numero di specie chimiche, con diverse modalità di azione sul corpo umano. Per sommi capi, una prima distinzione vede:
La presenza di sostanze chimiche nei campi di battaglia ha origini davvero remote se si pensa che alcuni scritti parlano dell’utilizzo di fumi contenenti arsenico contro gli ateniesi ad opera degli spartani, nel 425 a.C., durante la guerra del Peloponneso.
Tenendo sempre presente periodi molto remoti da noi, ci sono evidenze che nel 256 d.C., nella città romana antica di Dura-Europos (le rovine si trovano attualmente in Siria), 19 soldati romani persero la vita per mano dei persiani all’interno di un tunnel. I soldati si erano barricati lì e, a causa dell’inalazione di gas estremamente tossici derivati dalla combustione di bitume e composti contenenti zolfo, persero la vita.
Il primo impiego di armi chimiche in epoca modera venne realizzato dall’esercito tedesco durante la prima guerra mondiale, contro l’esercito russo a Bolimow, nel gennaio del 1915. Vennero impiegati dei proiettili contenenti bromuro di xilile (un agente lacrimogeno). L’attacco però non risultò efficace in quanto le basse temperature non permisero un’idonea vaporizzazione dell’agente offensivo.
Devastanti e sconcertanti invece furono gli eventi che caratterizzarono la seconda battaglia di Ypres, il 22 aprile 1915, in Belgio, da parte dell’esercito tedesco contro quello francese. Vennero rilasciate circa 168 tonnellate di gas cloro, che provocarono in pochi minuti più di 5000 vittime. Sempre nel primo conflitto mondiale vennero utilizzati ampiamente anche fosgene e iprite (noto anche come “gas mostarda” per via dell’odore caratteristico).
L’utilizzo di queste armi non convenzionali instillò grande timore nell’opinione pubblica mondiale, al punto tale da spingere numerosi governi, nel 1925, alla firma del Protocollo di Ginevra: accordo tra nazioni che nella pratica proibiva l’utilizzo di armi chimiche in guerra.
L’apice della letalità di queste specie chimiche venne raggiunto quando gli studi condotti sugli organofosfati, finalizzati allo sviluppo di insetticidi, verso la fine degli anni ’30, portarono alla scoperta di sostanze incredibilmente nocive: i gas nervini, il cui primo utilizzo su vasta scala si verifico negli anni ’80, durante la guerra Iran-Iraq.
Attualmente il progresso tecnologico in campo bellico ha portato allo sviluppo di numerosi dispositivi difensivi che rendono le armi chimiche meno offensive rispetto al passato. Il vero problema sorge nel momento in cui queste armi vengono utilizzate contro la popolazione civile oppure in atti di terrorismo.
Il primo attentato terroristico con armi chimiche si verificò nella metropolitana di Tokyo il 20 marzo 1995, ad opera di una setta religiosa dell’Aum Shinrikyō che utilizzò il gas nervino sarin. L’attentato provocò la morte di 13 persone e 6000 intossicati.
La preoccupazione sull’impiego e la produzione di questa tipologia di specie chimiche crebbero al punto che nel 1993 venne firmata a Parigi la Convenzione sulla Proibizione delle Armi Chimiche (Chemical Weapons Convention, CWC), entrata poi in vigore nel 1997.
Tale convenzione, ratificata da 193 Stati, proibisce l’utilizzo, lo sviluppo, l’acquisizione e la detenzione di qualsiasi arma chimica. Inoltre, a livello internazionale è presente l’OPCW (Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons), un’organizzazione che ha l’obiettivo di liberare il mondo dalle armi chimiche. L’OPCW, per i numerosi sforzi manifestati, nel 2013, è stata insignita del premio Nobel per la pace.
A cura di Matteo Iafrate
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