Da sempre i batteri hanno rappresentato per noi un elemento fondamentale per la vita. Grazie alle loro straordinarie capacità metaboliche, sono in grado di svolgere una vasta gamma di funzioni benefiche, dal decomporre la materia organica alla sintesi di importanti sostanze chimiche. Tuttavia, recenti studi hanno aperto nuove prospettive sulla potenziale utilità di un batterio anche come fonte alternativa per la produzione di idrogeno, un’importante risorsa energetica. Questo approccio innovativo potrebbe rivoluzionare il settore energetico, offrendo una soluzione sostenibile e rinnovabile per soddisfare le crescenti esigenze energetiche della società.
L’idrogeno può essere un’importante fonte di energia per il futuro. Questo appare evidente se si pensa che oltre ad essere la fonte di vita delle stelle nello spazio, esso è anche un carburante ad alta densità energetica e una bassa quantità di emissioni. Un solo kg di carburante ad idrogeno possiede un’energia equivalente a 2,4 kg di metano e 2,8 kg di benzina.
Nell’ultimo decennio si è scoperto che l’idrogeno costituisce una parte importante della vita degli organismi viventi. Le molecole H2 e CO in fase gassosa rappresentano le principali fonti di energia per la crescita e la sopravvivenza dei batteri anaerobici. Secondo il sistema sviluppato dai ricercatori dell’Istituto di Tecnologia Chimica e Biologica dell’Università di Lisbona i batteri possono trasformarsi in fabbriche biologiche ad energia solare che producono idrogeno.
Da sempre i batteri si adattano all’ambiente circostante arrivando a produrre sostanze essenziali per la vita sulla Terra. Questa, infatti, non è l’unica ricerca che mette in rilievo la capacità straordinaria che possiedono i microogranismi nell’adattarsi alle avversità e nel produrre idrogeno. Secondo la ricerca pubblicata su Nature Microbiology da parte del ricercatore italiano Massimiliano Molari dell’Istituto tedesco Max Planck, vi è anche un nuovo batterio Sulfurimonas pluma che utilizza H2 come fonte di sostentamento.
Questo organismo, proviente dalle sorgenti idrotermali, si è dovuto adattare, durante il corso del tempo, a sopravvivere nell’oceano aperto. Secondo la ricerca, in situazioni di emergenza estrema, il batterio Sulfurimonas pluma utilizza l’energia ricavata da zolfo e idrogeno per vivere. L’elemento che caratterizza questo microorganismo, è quella di usare l’idrogeno non come sorgente secondaria, ma bensì come fonte primaria di energia.
Qual è dunque l’elemento principale che differenzia questa ricerca da tutte quelle precedenti?
In questo caso, il gruppo di ricercatori ha scovato una sensazionale scoperta: i batteri lavorano incessantemente e come vere e proprie fabbriche di generazione di idrogeno. I microorganismi riescono a produrre in modo continuativo e con grande capacità di immagazzinare luce H2 senza generare alcuna molecola inquinante.
Gli organismi presi in considerazioni dagli scienziati sono tre: Citrobacter freundii, Shewanella oneidensis e Desulfovibrio desulfuricans. Questi batteri possiedono una capacità superiore alla norma di produrre l’agognato idrogeno grazie a delle speciali nanoparticelle di metalli semiconduttori che ne amplificano le capacità.
Il focus della ricerca è caratterizzato dalla trasformazione di questi tre batteri non foto-sintetici in sistemi bioibridi, ovvero delle piccole fabbriche di idrogeno biologiche. Questi sistemi sono caratterizzati da un connubio di batteri e nanoparticelle catalitiche di metalli semiconduttori a base di solfuro di cadmio pensato al fine di convertire l’energia solare in idrogeno molecolare. Questa struttura permette infatti non solo di svolgere la trasformazione, ma anche di aumentare in modo esponenziale l’ efficienza di conversione.
Tra i tre batteri menzionati precedentemente, il Desulfovibrio desulfuricans spicca tra gli altri per la sua elevata capacità di produrre H2 grazie alla sua abilità nel sintetizzare nanoparticelle solforate extracellulari. Un’altra caratteristica fondamentale di questo innovativo sistema è la sua ecosostenibilità. Per generare il prodotto desiderato, infatti, non è assolutamente necessario usare alcun catalizzatore metallico.
Nonostante vi siano state svariate ricerche negli anni, questa scoperta risulta innovativa sia per la sua ecosostenibilità, sia per il rendimento che questa promette.
Secondo la ricercatrice Ines Cardoso Pereira, infatti, “lo sviluppo di bioibridi è un nuovo e interessante campo di ricerca in cui possiamo combinare l’alta efficienza catalitica e la specificità dei sistemi biologici con materiali sintetici che hanno eccezionali performance nel catturare l’energia solare o elettrica. Questo settore sta crescendo rapidamente e la strategia più promettente consiste nel combinare microrganismi intatti con nanoparticelle prodotte sulla loro superficie che permettono un trasferimento diretto di energia fra loro”.
Se partiamo dalle premesse, questo step sembra essere fondamentale e probabilmente decisivo per una produzione green ed ad alta efficienza del biofuel del futuro.
A cura di Luisa Bizzotto
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