Il riciclaggio enzimatico della plastica, in particolare del PET, è una tecnica in grado di degradare con una procedura economica anche il materiale più difficile da scomporre. Attraverso l’utilizzo di enzimi si scindono i polimeri della plastica nei loro costituenti, risparmiando energia e materia rispetto alla produzione di nuova plastica e riducendo in modo significativo l’impatto ambientale.
La plastica è una famiglia che comprende diverse tipologie di polimeri, di cui alcuni sono riciclabili e altre no. La produzione delle plastiche inizia all’inizio del secolo scorso, quando vengono sintetizzati i primi polimeri, come il polistirene (PS), il polivinilcloruro (PVC) e il polietilene (PE). Ciò è stato possibile grazie all’espansione dell’estrazione petrolifera, in quanto il petrolio è la materia prima per la sintesi delle plastiche tradizionali. Le plastiche sono in generale materiali versatili e di lunga durata. Queste caratteristiche, se da un lato le hanno rese estremamente comuni, hanno anche un effetto negativo dal punto di vista dello smaltimento. Una volta disperse in ambiente le plastiche si deteriorano molti difficilmente, causando un notevole impatto ambientale. La strategia europea per la plastica, convertita nella Direttiva SUP (Single Use Plastics) punta a un miglioramento delle tecnologie di riciclaggio per favorire un’economia circolare della plastica, anche attraverso l’utilizzo di tecniche innovative.
Il polietilene tereftalato (PET) appartiene, come tutte le plastiche tradizionali quali il PE, il PS e il PVC, alla macro famiglia delle termoplastiche. Le materie plastiche di questo tipo diventano malleabili sotto l’azione del calore, che le fonde. In questa fase possono essere modellate e successivamente tornano ad essere rigide per raffreddamento, formando il polimero di partenza. Questo processo può essere ripetuto più volte ed è un vantaggio dal punto di vista del riciclo. Il PET è un materiale brevettato nel 1940 e utilizzato comunemente in diverse colorazioni per le bottiglie di acqua. Ma si utilizza anche per la produzione di fibre, filati e materiali tessili in generali. Anche i sacchi per la spazzatura o i sacchetti per surgelare gli alimenti sono realizzati in PET. Sul totale dei rifiuti urbani di platica, il PET rappresenta circa il 5%.
Le tecnologie tradizionali di riciclo del PET sono piuttosto avanzate ma anche molto costose. Ecco perché i ricercatori sono alla ricerca di alternative per garantire l’efficienza del riciclo ma a costi competitivi. Tra le tecniche più adatte vi è quella del riciclaggio enzimatico, che grazie all’efficienza e ai vantaggi economici potrebbe ridurre in modo significativo l’invio a discarica delle plastiche difficili da riciclare. Il riciclaggio enzimatico è stato individuato nel 2016 da un team di scienziati giapponesi che ha scoperto la presenza di un particolare batterio in un impianto di riciclaggio della plastica. Il batterio è chiamato Ideonella sakaiensis ed è in grado di produrre un enzima che rompe i legami del PET, molto forti, scomponendolo in due composti: acido tereftalico e glicole etilenico. Dal polimero iniziale quindi si passa ai monomeri costituenti.
Carbios è azienda impegnata nello sviluppo di nuove soluzioni per il riciclo della plastica e dei polimeri tessili. A questa azienda va il merito di aver sviluppato una tecnologia che in poche ore degrada il PET mediante enzimi per produrre i monomeri di base. Questi vengono poi purificati e sottoposti a un processo di polimerizzazione per riottenere il PET di partenza, che questa volta sarà però un materiale riciclato. La sua qualità però è identica al PET ricavato a partire da prodotti petroliferi. In questo modo si evita l’estrazione di petrolio e il suo impatto ambientale. L’impianto industriale di Carbios dovrebbe entrare in funzione tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025 con una capacità produttiva di 40 mila tonnellate di PET.
Lo sviluppo di sistemi di riciclaggio del PET è ancora in corso, con il contributo di esperti di tutto il mondo. Si tratta infatti di un settore in cui le competenze ingegneristiche devono fondersi con quelle del settore farmaceutico e dei biocarburanti. Tra le difficoltà maggiori nelle ricerche c’è quello della scalabilità del processo. Gli enzimi infatti sono in grado di funzionare bene solo su una piccola quantità di prodotti, ovvero quelli costituiti da PET amorfo e non cristallino. La maggior parte dei prodotti di plastica però è costituita da PET cristallino, che è quello che si degrada più difficilmente. Grazie allo sviluppo della bioinformatica e dell’apprendimento automatico è diventato possibile ottenere le sequenze enzimatiche coinvolte nella degradazione del PET cristallino. Al tempo stesso grazie a modelli statistici è stato possibile prevedere le modalità con cui gli enzimi rompono i legami.
Grazie a queste innovazioni, di recente è stato possibile selezionare 36 enzimi che possono svolgere il riciclaggio enzimatico, in particolare di PET cristallino ma che funzionano anche per quello amorfo. Poiché sono molto efficaci è possibile evitare i trattamenti preliminari al processo enzimatico, che hanno principalmente lo scopo di ammorbidire la plastica. Eliminando questi trattamenti il processo di riciclo del PET diventa più economico e quindi competitivo rispetto alla produzione di nuovo PET a partire dal petrolio.
Scopri come ridurre la tua impronta ecologica con azioni quotidiane consapevoli che vanno dall'alimentazione ai…
E' un trucco che ti salverà la vita! Non avrai più bisogno di accendere i…
E' una notizia incredibile! Il bollo auto è stato abolito in molte regioni italiane. Scopri…
Se i pomodori ti sembrano un po' troppo amari, i ricercatori hanno trovato la soluzione…
E' stato captato un nuovo segnale, proveniente questa volta da Marte. Di cosa si tratta?…
Questo affascinantissimo squalo è stato di recente avvistato nei nostri mari. Il suo particolare aspetto…