Quando finirà il petrolio? Esistono diverse teorie che danno una risposta a questa domanda. Il tema dell’esaurimento delle fonti fossili ha lanciato un vero e proprio allarme che ha sottolineato, già dalla metà del secolo scorso, l’urgenza di una transizione energetica verso le fonti rinnovabili. Tra i diversi studi che sono stati effettuati nel tempo, uno in particolare ha rivoluzionato la visione dell’economia, ed è quello proposto dal geofisico statunitense Marion K. Hubbert, che formulò nel 1956 la teoria che da lui ha preso il nome. L’applicazione della sua teoria si è rivolta in particolare alla produzione del petrolio, ma oggi si estende a molti altri campi.
Il modello di Hubbert riguarda il processo di produzione delle risorse minerarie e delle fonti fossili. La teoria fu formulata per prevedere l’evoluzione della produzione del petrolio degli Stati Uniti nel corso del tempo. Secondo Hubbert, il processo di produzione di una risorsa, materiale o energetica, avviene in tre fasi fondamentali che si susseguono nel tempo. La prima fase è una crescita della produzione, favorita dalla disponibilità della risorsa. Segue una fase di massimo sviluppo, che è appunto il picco di Hubbert, agevolata dalla maturità tecnogica e dall’aumento della richiesta. L’ultima fase, che segue il picco, è quella della diminuzione della produzione, per il sopraggiungere di ostacoli come il depauperamento della risorsa.
Studiando l’andamento della produzione di petrolio nel tempo e la stima delle riserve disponibili, Hubbert fu in grado di ipotizzare, con una buona precisione, il futuro di questa risorsa. Il modello di Hubbert infatti oggi viene utilizzato per qualsiasi risorsa materiale, per il gas naturale o per materie prime come le terre rare o i metalli preziosi. La teoria di Hubbert permette di prevedere il picco di produzione massima e il punto dopo il quale la produzione inizia a diminuire per la mancanza di disponibilità della risorsa. Ma non solo. Il modello di Hubbert ci consente anche di avere un inquadramento dei prezzi del petrolio o a di qualsiasi risorsa, che sono legati fortemente alla disponibilità della fonte.
L’andamento teorico della curva di produzione dovrebbe essere quello della classica “campana” gaussiana. Nel database Our World in Data è possibile visualizzare la produzione reale di petrolio registrata negli Stati Uniti. Ciò che si osserva è una crescita rapida dall’inizio del secolo scorso, con la nascita dell’attività estrattiva, fino agli anni ’50. A partire dagli anni ’50 la crescita inizia a essere più lenta perché, sfruttando le riserve, l’estrazione diventa più difficile e costosa. Negli anni ’70 viene raggiunto il picco di Hubbert, perché inizia la fase di esaurimento dei giacimenti di petrolio. Da qui la produzione inizia a calare e continuerà a farlo fino a quando la risorsa finirà o non sarà più conveniente estrarla.
Osservando l’andamento reale, possiamo ritenere il modello di Hubbert abbastanza valido, ma rimane comunque una teoria statica che non può tenere in considerazione alcune eventualità. Ad esempio, riferendoci alla curva del petrolio, si osserva che nel 2008 per la teoria di Hubbert avremmo dovuto essere nella fase di calo produttivo. In realtà, da quell’anno la produzione ha subito una crescita grazie a tecnologie innovative nell’estrazione del petrolio. Queste hanno permesso di sfruttare risorse che in precedenza erano considerate inaccessibili. Un modello del genere è di tipo predittivo, ovvero si basa su un’estrapolazione del passato. Ecco quindi che perde valore se avviene un cambiamento nell’accesso alle risorse o nelle condizioni del mercato. L’utilizzo del modello di Hubbert è affidabile nel caso di giacimenti maturi in produzione e con situazione geologica pienamente nota. Su scala globale però non riesce a considerare la diversità dei giacimenti e la relativa situazione geologica.
Ci sono molte statistiche che fanno il punto sulle riserve accertate di petrolio. Nel 2019 il rapporto Statistical Review of World Energy della British Petroleum ha stimato riserve pari a 1.733,9 miliardi di barili. In quell’anno il consumo globale è stato di circa 35,9 miliardi di barili. Se le riserve e i consumi restassero gli stessi, avremmo petrolio per altri 50 anni prima di esaurirlo. Diverse innovazioni tecnologiche hanno già permesso nel tempo di migliorare l’attività estrattiva. Ad esempio, l’estrazione del bitume, che è un petrolio molto viscoso, ha aumentato in maniera significativa le riserve accertate, soprattutto in Canada. Anche la tecnica del fracking è valida per ottenere un aumento delle riserve. Esistono poi delle risorse dette tecnicamente recuperabili, cioè che non sono ancora state scoperte ma si stima che esistano in base a considerazioni geologiche sulle formazioni rocciose.
Ma cerchiamo di rispondere alla tanto discussa questione su quando finirà il petrolio. È chiaro che a una domanda del genere non si può dare una risposta certa, perché i fattori di variabilità sono tantissimi. Il dibattito è molto acceso e spesso si pensa al petrolio come una fonte inesauribile, ma sappiamo che non è così. Per un calcolo di questo tipo è fondamentale considerare il rapporto R/P, ovvero tra le riserve accertate e la produzione. Questo dato riguarda la conoscenza geologica dei giacimenti, che però dipende molto dagli investimenti e dalla situazione tecnologica. Comunque, in base alle attuali conoscenze sembra che avremo petrolio all’incirca per altri 50 anni. I dati dell’OPEC, insieme a quelli della British Petroleum e dell’ Energy Information Administration (EIA) suggeriscono come data di riferimento il 2065. Ma ovviamente molto dipenderà dalle modifiche nel tempo sia per quanto riguarda la produzione che le riserve, quindi rimane un certo margine di incertezza.
L’esaurimento del petrolio è inevitabile: non possiamo sapere con certezza quando finirà il petrolio, ma sappiamo che prima o poi avverrà. E sarà un fenomeno assolutamente naturale, a cui però dovremo arrivare pronti. Il picco di Hubbert ci ricorda la necessità della transizione energetica e di un cambiamento tecnologico nella produzione. Le fonti di energia alternativa non mancano, e quelle su cui puntare sono sicuramente le rinnovabili e il nucleare. Tutte le fonti fossili infatti, essendo non rinnovabili, seguono la teoria di Hubbert, quindi anche lo sfruttamento del gas naturale non può essere la soluzione definitiva. Dobbiamo anche ricordare che il petrolio è una fonte di inquinamento, sia allo stato puro che come conseguenza della combustione per la produzione energetica. Per questo motivo, è ragionevole pensare a uno scenario futuro in cui, gradualmente, il petrolio diventerà sempre meno presente.
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