In seguito a delle falle riportate sui gasdotti gemelli Nord Stream e Nord Stream 2, migliaia di metri cubi di gas naturale si stanno disperdendo in mare con inevitabile risalita verso l’atmosfera. L’area è tuttora confinata dalle autorità locali. Questo evento avrà sicuramente un risvolto sul sistema energetico europeo già in bilico, ma avrà comunque conseguenze ambientali non necessariamente banali.
Il gas naturale, composto dal 70-90% da gas metano (CH4) più altri gas in minor concentrazione, è uno dei gas serra naturalmente prodotti dal nostro ecosistema. Non è più un segreto, però, che l’equilibrio atmosferico-climatico stia subendo forti variazioni a causa delle emissioni di origine antropica.
“Ridurre le emissioni di metano è un passo necessario verso la mitigazione del cambiamento climatico” ha affermato Xin Lan, ricercatore del CIRES attualmente operativo presso il Global Monitoring Laboratory della NOAA, durante uno studio sulla longevità delle emissioni in atmosfera.
Per quanto sia un combustibile fossile, la ricerca punta sul suo miglior sfruttamento e stoccaggio piuttosto che sul suo abbandono. Le emissioni di gas naturale prodotte a livello industriale sono causate, nella maggior parte dei casi, da perdite accidentali. Queste sono dovute a malfunzionamenti che derivano da operazioni di manutenzione e gestione degli impianti non eseguite in modo ottimale. L’AIE (Agenzia Internazionale dell’Energia) ha redatto un rapporto per stilare delle linee guida sull’argomento proprio per sensibilizzare sul fenomeno dei cosiddetti leaks.
In questo articolo proveremo a mettere in risalto le conseguenze ambientali di questo disastro piuttosto che la causa. L’ultimo aggiornamento del sito della compagnia Nord-Stream, datato 4 ottobre, conferma la stabilizzazione delle due linee danneggiate. Affermano anche di non essere ancora in grado di stimarne il danno a causa di impedimenti dovuti al sequestro dell’area.
Questo, però, va in contrasto con quanto dichiarato dalla Guardia Costiera Svedese che afferma che tuttora ci siano delle forti perdite. Anche se l’evento ha suscitato l’interesse internazionale, è ancora difficile stimare la quantità di metano persa nel mare. Sul suo account Twitter, Philippe Ciais, ricercatore presso la Commissione francese per le energie alternative e l’energia atomica (CEA), parla di 70.000 tonnellate di gas metano disperse fino ad oggi. Questi dati sono stati ricavati dalla ICOS, infrastruttura di ricerca che quantifica il bilancio dei gas serra dell’Europa e delle regioni adiacenti.
Sempre secondo Philippe Ciais, questa prima stima (si aspettano altri accertamenti) sembrerebbe ben al di sotto delle aspettative, considerando che l’ESA (European Space Agency), citando il satellite della GHGSAT (Global emission monitor), contava il 30 settembre 79 tonnellate l’ora di metano emesso, un numero impressionante in relazione alla durata del riversamento.
Proprio in questo articolo dell’ESA, la perdita viene definita come un’inezia rispetto alle emissioni ordinarie a cui siamo abituati annualmente. Per quanto possa essere vero, è corretto valorizzare questo danno. Considerando che la sola industria petrolifera e del gas ogni anno emette circa 80 milioni di tonnellate di metano, e prendendo per buono il dato (a quanto pare ottimistico) di 70.000 tonnellate emesse dai condotti della Nord Stream, questo disastro ha già contribuito a quasi l’1% di emissioni annuali. E questo 1% durerà per altri 10-15 anni, poiché è questo il tempo di permanenza in atmosfera del metano.
Un anno fa, l’UN Environment Programme suggeriva che abbassare del 45% le emissioni di gas metano entro il 2030, avrebbe portato a 250.000 morti in meno all’anno per malattie cardiovascolari, nonché a prevenire 26 milioni di tonnellate di raccolti persi annualmente. Per ottenere questo, ogni anno dovremmo abbassare la percentuale di emissioni di un 5% partendo dal 2021. Forse quell’1% non è così trascurabile.
A cura di Giovanni Basciani
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