Vertical Farming: come sfamare il mondo del futuro
Gli orti verticali, detti anche indoor vertical farming, potrebbero rivoluzionare il settore agricolo soprattutto quello relativo alla coltivazione di ortaggi e frutta. In Italia, questo mondo è in completa evoluzione ed una delle realtà più promettenti è Planeta Farms con il suo stabilimento a Cavenago visibile dell’autostrada.
La storia e definizione del termine
L’idea di coltivare in verticale è nata a fine anni 2000 a Dickson Despommier, professore di “Salute pubblica ed ambientale” alla Columbia University. Nel 2010 pubblica il suo libro “The vertical farm: feeding the world in the 21st century” e nonostante le critiche ricevute, qualche anno dopo nasce il primo orto verticale. Il lavoro di Despommier contribuì anche ad una prima diffusione della nuova idea di agricoltura, in particolare in Giappone e in altri paesi asiatici.
Le sfide del futuro
L’agricoltura verticale si inserisce positivamente in un contesto agroalimentare futuro molto incerto per fornire una possibile soluzione ad alcune delle sfide più cruciali che affronteremo.
Per quanto riguarda la demografia mondiale i dati delle Nazioni Unite mostrano un aumento della popolazione globale di circa 2 miliardi entro il 2050. Questa crescita avverrà principalmente in Africa ed in Asia, mentre nei paesi occidentali, pur aumentando l’aspettativa di vita, assisteremo ad un calo demografico.
È necessario aggiungere alla crescita demografica localizzata anche il problema del riscaldamento globale, il quale ben presto potrebbe anche divenire irreversibile. Il cambiamento climatico ha conseguenze dirette sul settore agricolo poiché si stanno registrando fenomeni metereologici estremi sempre con maggiore frequenza. Infatti, non è raro assistere a periodi prolungati di siccità, intervallati da piogge torrenziali concentrate in brevi lassi di tempo. Ciò danneggia i campi dedicati all’agricoltura e non permette nemmeno il riempimento dei serbatoi naturali nel sottosuolo.
Pro e contro del vertical farming
Nell’ottica delle principali criticità che ci aspettano, l’indoor vertical farming sembra fornire gli strumenti per poterle affrontare al meglio, consentendo di ridurre il consumo sia del suolo che di risorse naturali come l’acqua. Dati citati dal Sole 24 Ore parlano di produrre 1 Kg di lattuga con solo 1 litro di acqua rispetto ai circa 150 consumati oggi. Inoltre, per quanto riguarda la riduzione del terreno sfruttato, potremmo incrementare sensibilmente la produzione di frutta e verdura per metro quadrato.
Gli orti verticali, inoltre, consentono la coltivazione di frutta ed ortaggi in ambienti controllati non dipendendo da eventi metereologici sempre più estremi e imprevedibili. Un altro fattore da tenere in considerazione è la prospettiva di avere metropoli sempre più popolate in futuro. Il vertical farming consentirà di avvicinare il punto di raccolta dei prodotti freschi al consumatore finale, tagliando anche le emissioni inquinanti legate a questa fase.
Una criticità da risolvere per sfruttare al meglio i vantaggi degli orti verticali è l’utilizzo di energia elettrica prodotta da fonte rinnovabile. Infatti, la nuova metodologia di fare agricoltura è molto energivora soprattutto per l’illuminazione artificiale delle piante ma anche per il mantenimento della giusta temperatura.
L’Italia nel vertical farming
In Italia solo recentemente sono nate aziende attorno a questa innovazione ed alcune fra le migliori realtà sono Planeta Farms e Agricola Moderna.
La prima, Planeta farms, nata dall’idea di Luca Travaglini e Daniele Benatoff oggi è considerata una delle vertical farms più grandi in Europa. Da maggio 2021 lo stabilimento di Cavenago è in grado di produrre dalle quaranta alle sessanta mila confezioni al giorno fra insalata ed erbe aromatiche. Questa realtà italiana è in grande espansione, infatti nel prossimo futuro prevedono la realizzazione di altri cinque stabilimenti sparsi per tutt’Europa.
La seconda azienda, la milanese Agricola Moderna è ancora più recente, infatti, è partita nel 2019 ed oggi ha raggiunto numeri di tutto rispetto. È molto orientata sull’automazione, basti pensare che nello stabilimento di Melzo lavorano 18 dipendenti di cui 12 sono dedicati all’R&D.