La crisi energetica scatenata dal conflitto tra Russia e Ucraina ha creato l’urgenza di individuare delle valide alternative al gas che l’Italia importa dalla Russia. Il premier Draghi, oltre ad aver espresso la necessità di accelerare lo sviluppo delle fonti rinnovabili, ha parlato di nuovi impianti di rigassificazione. Vediamo che cosa sono e come possono essere utili per l’indipendenza energetica.
La strategia politica italiana per contrastare l’attuale crisi energetica si fonda su diversi aspetti. L’importanza della transizione alle fonti rinnovabili si scontra con i limiti della burocrazia per l’installazione degli impianti. L’obiettivo è procedere con maggiore semplicità in questo senso, ma non accadrà in breve tempo. Nonostante il tentativo di semplificare le procedure e di investire su fonti alternative come il biometano, rimane essenziale pensare al gas come “combustibile di transizione”. Per questo occorre aumentare la produzione nazionale di gas e rafforzare le importazioni di gas naturale liquefatto (GNL) da altri Paesi. Il premier Draghi ha parlato di recente di un altro aspetto: l’aumento della capacità di rigassificazione.
I rigassificatori sono impianti nei quali il gas naturale liquefatto (GNL) viene riportato allo stato gassoso. Il passaggio allo stato liquido si rende necessario per agevolare il trasporto tramite le metaniere. Infatti, a parità di massa, un liquido occupa meno volume rispetto ad un gas e quindi è possibile trasportarne una maggiore quantità in una sola nave. Una volta arrivato a destinazione, i rigassificatori agiscono sul GNL variando temperatura e pressione in modo da riportarlo allo stato gassoso. I rigassificatori possono essere realizzati onshore oppure offshore, al largo delle coste marittime. Esistono anche installazioni su speciali navi galleggianti. Impianti di questo tipo consentono un approvvigionamento diversificato da diversi Paesi ricchi di gas, senza ricorrere al collegamento mediante gasdotti. Il processo di rigassificazione inoltre ha un impatto ambientale poco rilevante, con emissioni ridotte rispetto ad una centrale elettrica a gas o ad olio.
Oggi in Italia sono in funzione tre rigassificatori, che coprono il 20% del fabbisogno annuale di gas. Uno è onshore e si trova a Panigaglia, nella provincia di La Spezia. Gli altri due sono offshore e sono installati a Rovigo e a Livorno. Già nel 2006 il governo italiano si era impegnato nella realizzazione di rigassificatori per ottenere una maggiore indipendenza energetica dai fornitori. L’idea era di sfruttare la posizione dell’Italia al centro del Mediterraneo e dell’Europa per importare gas liquefatto e rigassificarlo in modo da poter anche esportare anche il surplus in Europa. Il progetto, che prevedeva undici rigassificatori, non tiene il passo con altri Paesi che si sono attrezzati molto più rapidamente. Ma secondo le ultime dichiarazioni del ministro Cingolani, l’Italia intende procedere per ridurre la dipendenza dalla Russia:
«Abbiamo tre rigassificatori al 60% che potranno essere portati a una efficienza migliore. Quest’anno poi installeremo il primo rigassificatore galleggiante e poi costruiremo altre infrastrutture nei prossimi 12-24 mesi».
Mentre si lavora per nuovi progetti di impianti di rigassificazione, uno a Porto Empedocle e l’altro a Gioia Tauro, si procede all’aumento della capacità di stoccaggio di gas. Draghi ha dichiarato che l’Italia ha intenzione di spingere l’Europa a progetti di stoccaggio comune, che permetterebbero la fornitura anche in momenti di crisi. La Commissione Europea ha avviato il piano “RepowerEu” per ridurre la dipendenza dalla fornitura del gas dalla Russia. A breve sarà proposto il riempimento degli stoccaggi europei fino al 90% entro il primo ottobre di ogni anno. Al tempo stesso, saranno forniti incentivi ai fornitori che garantiscano capacità di stoccaggio sufficienti. Tra le proposte ci sono anche piani nazionali per la transizione energetica e l’installazione di impianti a energia rinnovabile.
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