In una Europa che sembrava aver preso una linea politica decisa e coesa verso la transizione energetica, ecco la beffa. Non è passato molto da quando la Commissione europea ha riconosciuto gas naturale e nucleare nella tassonomia green per il futuro. Oggi, invece, i leader politici cercano di ridisegnare le rotte dei flussi energetici europei. La via della transizione energetica disegnata dall’Europa sembra andare incontro a una forte battuta d’arresto.
Alcuni vedono lo scenario attuale come un fondamentale turning point per affrancarsi dalle forniture estere. D’altra parte è risaputo che i Paesi detenenti la maggior parte dei combustibili fossili siano fortemente instabili politicamente. Di fatto la necessità di importare circa il 40% del gas naturale dalla Russia si palesa, oggi più che mai, ai governativi italiani come una strategia da rivedere completamente.
L’Europa è allora costretta a ripartire dal carbone, la fonte fossile più inquinante, per sopperire alla crisi del gas proveniente dall’est. L’inizio della guerra tra Russia e Ucraina è senza dubbio una battuta d’arresto per gli obiettivi di decarbonizzazione e conseguente transizione energetica. Al contempo è anche l’opportunità di comprendere a pieno l’importanza della diversificazione del mix energetico e di uno sfruttamento maggiore delle energie rinnovabili, su cui di fatto nessun Paese può rivendicare un qualsivoglia diritto di possesso.
Indispensabile è, appunto, ridisegnare sulla mappa continentale i flussi energetici e, con il tempo, ridurre lo spessore degli archi della rete relativi alle importazioni estere. Questo significherebbe rendersi più energeticamente indipendenti. Il processo, che sembra facile a dirsi, è estremamente lento e dispendioso. Così il Premier Draghi e il Ministro per la transizione ecologica Cingolani, perfettamente consapevoli delle difficoltà intrinseche alla generazione energetica, parlano di carbone. Parlano di intensificare l’import di gas naturale dagli altri Paesi che già attualmente riforniscono l’Italia. In particolare si parla di Azerbaijan, Algeria, Libia e Qatar.
Accanto alle trattative con i Paesi esteri per rifornire correttamente i serbatoi di gas italiani, la strada verso la transizione energetica deve essere resa più percorribile. L’obiettivo di tale transizione è proprio quello di sostituire gradualmente la necessità dei combustibili fossili. Il ministro Cingolani suggerisce che servirebbe, in tal senso, alleggerire la burocrazia legata alle energie rinnovabili.
La conferenza stampa di Elettricità futura, associazione parte di Confindustria delle imprese impegnate nel settore elettrico nazionale, mette sul piatto la potenzialità delle aziende elettriche italiane. Le 518 imprese associate detengono il 70% del mercato elettrico con 75 GW di potenza installata e 1,15 milioni di linee di distribuzione. Alla conferenza erano presenti amministratori delegati di A2A, Enel, Erg.
“Chiediamo al governo e alle Regioni di autorizzare entro giugno 60 GW di nuovi impianti rinnovabili, pari a solo un terzo delle domande di allaccio già presentate a Terna”.
“60 GW di nuovi impianti rinnovabili faranno risparmiare 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, ovvero il 20% del gas importato. O, in altri termini, oltre 7 volte rispetto a quanto il governo stima di ottenere con l’aumento dell’estrazione di gas nazionale”. Questo quanto detto dal presidente di Elettricità futura, Agostino Re Rebaudengo.
Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, sottolinea le diverse velocità con cui le aziende e il MiTe vedono la transizione. “Sono andati oltre le nostre più rosee previsioni e certamente oltre gli obiettivi del Mite, che tra mille difficoltà, punta a installare 8 GW di rinnovabili l’anno per dieci anni. Le aziende elettriche ci dicono invece che, se si dà loro il via libera, sono pronte a metterne a terra 60 GW in tre anni. Mancano solo le autorizzazioni”.
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