Dopo settimane di tensione le truppe di Mosca hanno invaso l’Ucraina. Mentre assistiamo agli eventi drammatici della guerra, ci troviamo già di fronte alle pesanti conseguenze che i mercati finanziari hanno subito. Le materie prime sono schizzate a livelli record già dalle prime ore del conflitto. vediamo le conseguenze in campo energetico della guerra Russia-Ucraina.
L’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche porta con sé il rischio di possibili restrizioni della fornitura. Per la solidità finanziaria e le prospettive di crescita economica, si tratta di una situazione di estremo pericolo. È bastata una sola giornata di conflitto per far salire il petrolio europeo (brent) sopra i 100 dollari al barile per la prima volta dopo sette anni. I future del WTI sono arrivati a oltre 98 dollari al barile.
Il gas naturale ha subito un rialzo fino al 58%, oltre 140 euro per Megawattora. La situazione è in continuo aggiornamento ma rimane un clima di incertezza dovuto alle possibili sanzioni energetiche da parte delle diplomazie occidentali. I rincari dei prezzi portano alle stelle i prezzi dei carburanti. Sono già stati segnalati prezzi di oltre i 2 euro a litro per la benzina, mentre la media del diesel si aggira intorno a 1,870 euro a litro.
Oggi la Russia è il maggiore fornitore di gas naturale in Europa e il secondo produttore mondiale di petrolio. Secondo gli ultimi dati Eurostat, risalenti al 2019, l’Unione Europea importa il 41,1% del gas dalla Russia. Nelle ultime settimane ci sono state diverse minacce sul taglio delle esportazioni di gas. Se questo accadesse, i singoli paesi dovranno contare sulle proprie risorse energetiche. Secondo una prima stima, l’Europa avrebbe riserve energetiche fino ad aprile.
Una possibile riduzione dei consumi e maggiori importazioni di GNL potrebbero allungare la speranza di qualche mese. Allo stesso tempo queste scelte peserebbero sull’economia europea. L’Europa potrebbe essere quindi costretta a ridurre il consumo di gas ricorrendo a soluzioni alternative. Centrali nucleari e a carbone fuori servizio potrebbero essere riavviate. Si tratterebbe comunque di una soluzione temporanea. I volumi di stoccaggio diventerebbero troppo bassi e i prezzi invernali potrebbero essere addirittura superiori a quelli attuali.
Secondo il Ministero della Transizione Ecologica, l’Italia importa il 43,3% del gas naturale dalla Russia. Insieme alla Germania, il nostro paese è tra i più dipendenti da Mosca. Un blocco della fornitura di gas peserebbe pericolosamente sulla nostra economia. Quasi la metà delle importazioni non verrebbe garantita. L’Italia non ha attualmente un “piano B”, perché riesce a produrre internamente solo il 10% del totale.
L’obiettivo attuale, spiega il ministro Cingolani, è ridurre la dipendenza dalla Russia, rafforzando quella da Algeria e Qatar. Non ha senso pensare a un aumento della produzione di gas o allo sfruttamento delle rinnovabili. L’Italia non è pronta per affrontare l’emergenza nel breve periodo, perché il nostro sistema economico è basato su gas e petrolio. Proprio in questi momenti drammatici si fa sentire l’urgenza di diversificare le fonti energetiche. Accelerare sulla transizione energetica significa quindi anche mettersi in sicurezza in casi di necessità.
In vista di una guerra tra Russia e Ucraina di lunga durata, ci avviamo verso lo scenario della fine della ripresa economica. I prezzi delle materie prime e le ritorsioni commerciali della Russia rendono verosimile l’ipotesi della stagflazione. L’inflazione europea quest’anno raggiungerebbe valori tra il 5% e il 10%, mentre si bloccherà la crescita del PIL. L’aumento dei costi dell’energia rallenterà le attività produttive, facendo calare i consumi. Commenta Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM (Italia) SGR:
“Le imprese dell’Eurozona, che nel 2021 hanno dovuto fare i conti con una bolletta energetica più che raddoppiata rispetto al 2020, difficilmente riusciranno ad assorbire un’ulteriore fiammata. Data la loro forte vocazione all’export, un eventuale scarico dei maggiori costi sui prezzi finali comporterebbe una notevole perdita di competitività. D’altro canto, però, assorbire interamente gli aumenti rischia di erodere i margini mettendo a repentaglio la solidità finanziaria delle imprese”
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