I cambiamenti climatici ancora una volta fanno soffrire il pianeta. Le aree colpite in questo caso sono il Messico e il sud-ovest del Nord America, dove si sta verificando un periodo di grave siccità. L’episodio è il peggiore degli ultimi 1200 anni e non sembra destinato a risolversi nel breve periodo.
Le alte temperature associate a precipitazioni scarse hanno causato, già dall’estate 2020, una grave situazione di siccità in Messico e Nord America. Secondo uno studio pubblicato su Nature Climate Change e condotto dall’Università della California – Los Angeles, dalla Columbia Univesity e dalla Nasa, si tratta di una “megasiccità” ed è la più grave registrata dall’ anno 800. L’analisi ha riguardato gli anelli degli alberi, che danno preziose informazioni sul clima storico di una regione. Un periodo di siccità è associato infatti a una carenza di umidità nel terreno, rispetto alle sue condizioni normali di saturazione. A partire dal 2000, l’aridità del terreno è stata la più grave registrata e continua a persistere. Il contenuto di acqua nel suolo è diventato due volte più basso rispetto alla media registrata in tutti i casi storici di grave siccità del ventesimo secolo.
Oggi l’85% del Messico è in condizioni di siccità, con livelli idrici dei corsi d’acqua in rapida diminuzione. Secondo i ricercatori, è improbabile che la situazione possa risolversi con un anno di abbondanti precipitazioni. Al contrario, sembra che anche nel caso di un anno piovoso, gli effetti della siccità persisteranno a lungo nelle aree colpite. Se non fosse in atto un cambiamento climatico, l’aridità ci sarebbe ma in forma meno grave rispetto a periodi storici precedenti. Il ciclo naturale delle piogge viene alterato profondamente dal riscaldamento globale. A questo si aggiungono gli episodi sempre più frequenti di ondate di caldo estremo. Ai cambiamenti climatici lo studio attribuisce il 42% del calo dell’umidità del terreno. Questa siccità intensa che non si ferma mette a rischio le risorse idriche per l’acqua potabile e l’irrigazione. A questo si aggiunge l’aumento dei casi di incendi registrati nell’America occidentale, anch’esso correlabile alla situazione climatica attuale.
I cambiamenti dei livelli idrici erano in atto già prima che gli effetti del riscaldamento globale diventassero evidenti come lo sono oggi. Ma il motivo per cui la situazione sta precipitando è l’aumento troppo rapido della temperatura media terrestre. Negli ultimi 22 anni la temperatura nella regione è salita di 0,91 °C sopra la media dei cinquant’anni precedenti. Anche l’acqua più fredda dell’Oceano Pacifico orientale in seguito alla corrente La Niña registrata nel 2020 impedisce la formazione di nuvole e quindi limita le precipitazioni. Ciò che più mette in allarme è la vastità delle aree colpite. Le “megasiccità” di solito riguardano aree poco estese, invece in questo caso non è così. Di conseguenza, il rischio per gli esseri viventi diventa un vero e proprio allarme. Senza acqua e con il costante rischio di incendi, la speranza di vita per piante, animali e uomini si riduce in modo preoccupante.
La situazione è oggetto di un monitoraggio continuo: ogni giovedì, a partire dal 2000, viene aggiornata la US Drought Monitor (USDM), una mappa che mostra posizione e intensità delle aree aride. Le statistiche mostrano le aree geografiche divise per categorie riportando variabili come temperatura, umidità del suolo e livelli idrici dei corsi d’acqua. La valutazione consente agli esperti di formulare giudizi che guidino le scelte per la conservazione delle risorse idriche e la riduzione del consumo di acqua. Queste iniziative sono utili nel breve periodo, ma in previsione di un cambiamento climatico persistente, saranno necessari ulteriori sforzi che non si limitino solo ai periodi più critici di siccità.
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