L’utilizzo di risorse energetiche alternative a quelle fossili (come le colture energetiche) ha assunto negli ultimi anni un aspetto cruciale nell’ambito della decarbonizzazione e della transizione energetica. Tra le varie fonti energetiche quella rappresentata dalla biomassa ha assunto una maggiore importanza relativamente all’aspetto della tutela dell’ambiente e presenta numerosi vantaggi legati principalmente alla ridotta dipendenza dai cambiamenti climatici a breve termine.
La biomassa comprende ogni materiale, legato alla chimica del carbonio, derivante direttamente o indirettamente dalla fotosintesi clorofilliana. La fotosintesi rappresenta il processo naturale per il quale le piante e le alghe trasformano energia solare, acqua e anidride carbonica in glucosio e ossigeno. Quindi, la biomassa è una fonte di energia rinnovabile.
Negli ultimi anni le prospettive d’impiego delle biomasse nei Paesi industrializzati sono notevolmente migliorate, grazie al diffondersi dell’idea di coltivare specie vegetali per ricavarne energia: le colture energetiche. Il Brasile, solo negli anni 2008-2009, ha prodotto 27.5 miliardi di etanolo, ponendosi così al primo posto su scala mondiale come produttore di canna da zucchero e di zucchero. Si prevede, quindi, un incremento delle colture energetiche per la produzione di biomassa, in risposta ad un sempre più crescente aumento di consumi energetici.
Le colture energetiche, anche note come colture “dedicate” , vengono suddivise principalmente in tre categorie:
In generale, le colture energetiche possono fornire materie prime per l’energia da utilizzare nei trasporti (biocarburanti di prima e seconda generazione), nell’elettricità e riscaldamento. I biocarburanti per il trasporto si basano principalmente su colture energetiche annuali, per esempio colza, barbabietola da zucchero, cereali. Per l’elettricità e il riscaldamento l’interesse è rivolto principalmente a piante erbacee e legnose perenni, come miscanto, switchgrass, canna gigante, salice, pioppo, e rifiuti.
In Italia le colture energetiche sono oggetto di grande attenzione in quanto è possibile sfruttare la messa a riposo dei terreni, che riguarda centinaia di migliaia di ettari. Sono inoltre disponibili vaste aree marginali, abbandonate o inutilizzate, per un totale complessivo di qualche milione d’ettari. La coltivazione a fini energetici è oltretutto incentivata dalla politica agricola nazionale ed europea, con lo scopo di evitare accumuli incontrollati di eccedenze alimentari.
L’utilizzo di un terreno a fini energetici comporta opportunità di sviluppo per zone marginali e/o riduzione di surplus agricoli. Si può pensare, infatti, ad una sostituzione di colture tradizionali con colture energetiche. I terreni utilizzabili per colture energetiche sono di due tipi:
Per ogni specie vegetale, la disponibilità trova un limite nella superficie ad essa destinata, nonché in vincoli climatici ed ambientali che tendono a limitare in ogni regione le specie che vi possono crescere convenientemente ed economicamente. La diffusione delle colture energetiche ha i suoi svantaggi quali:
Le biomasse possono essere considerate risorse rinnovabili purché vengano impiegate ad un ritmo non superiore alla capacità di rinnovamento biologico (ciclo di produzione compatibile con ciclo di ripopolamento). Nel caso specifico di colture dedicate, si deve far riferimento a delle short rotation: le colture devono aver tempi di accrescimento della biomassa tale che questa venga riprodotta in un tempo utile non superiore al tempo utilizzato per finalità energetiche.
La diffusione e l’utilizzo per fini energetici di coltivazioni dedicate necessita di regole e condizioni affinché siano garantite la compatibilità ambientale, economica ed energetica. La Comunicazione della Commissione “Piano d’azione per la biomassa”, Annex 4 – Environmental impacts, evidenzia il problema di individuare con “attenzione su dove allestire le colture energetiche affinché s’inseriscano in maniera ottimale nella rotazione delle colture, evitando ripercussioni negative sulla biodiversità, l’inquinamento idrico, il degrado del suolo e la distruzione di habitat e di specie di elevata importanza naturale.”
A cura di Caterina Greco
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