Negli ultimi anni la tecnologia delle fonti energetiche rinnovabili ha fatto passi da gigante, conoscendo uno sviluppo sempre più rapido. La necessità di contrastare i cambiamenti climatici e ridurre l’impatto delle azioni umane sull’ambiente ha portato aziende e istituzioni ad investire sempre più nella produzione pulita di energia. Ma le fonti rinnovabili non sono prive di difetti, e la strada e ancora lunga. Un ulteriore passo in avanti è stato fatto di recente nel campo dell’eolico, con l’adattamento della turbina eolica più potente del mondo alla produzione di idrogeno.
Uno dei limiti dell’eolico è la non regolarità dell’approvvigionamento energetico. Non solo la produzione di energia è fortemente variabile in base al clima e alle stagioni (per cui si parla di fonte energetica stagionale), ma è anche impossibile regolarla in base alle esigenze. Gli impianti che producono energia da combustibili fossili possono essere regolati in base alla domanda di energia, regolando la potenza dell’impianto. Anche con l’idroelettrico questo è parzialmente possibile. Un impianto eolico invece non può essere regolato e c’è il rischio addirittura di avere troppo poca energia in un periodo di alta domanda, o di essere costretti a buttare energia prodotta in eccesso nei periodi in cui la domanda è minore. Per risolvere questo problema si è pensato di conservare l’energia in eccesso trasformandola in idrogeno, e utilizzarla quando ce n’è più bisogno.
L’idea di fondo è quella di dotare le turbine eoliche (o più correttamente aerogeneratori) offshore di elettrolizzatori. Questi non sono altro che delle celle elettrochimiche che sfruttano l’elettrolisi dell’acqua per produrre idrogeno, trasformando energia elettrica in energia chimica. L’idrogeno così prodotto, poi, può essere conservato e, al momento del bisogno, spedito a terra tramite delle apposite tubature. Gli aerogeneratori, quindi non mandano più a terra energia elettrica tramite dei conduttori elettrici, ma gas tramite tubature. La turbina eolica scelta per questa sperimentazione è la Siemens Gamesa SG 14-222 DD, la più potente al mondo.
L’elettrolisi è un procedimento chimico in cui facendo attraversare dell’acqua da corrente elettrica la si scinde in ossigeno e idrogeno. Il procedimento avviene in una cella detta elettrolitica. Agli elettrodi della cella è posto un metallo inerte, cioè non reagente, e sono immersi in una soluzione elettrolitica o, nelle celle più semplici, in acqua. Gli elettrodi sono connessi con un generatore di corrente, ad esempio una batteria, e al passaggio della corrente l’acqua in cui sono immersi va in effervescenza, scindendosi in ioni H+ e OH–. Lo ione H+ si accumula sull’elettrodo negativo, da cui riceve elettroni tramutandosi in idrogeno, mentre lo ione OH– si accumula sull’elettrodo positivo, cedendogli elettroni e trasformandosi in ossigeno.
Trasportare l’idrogeno a terra non è assolutamente cosa da poco. L’idrogeno è un gas estremamente leggero e volatile, per cui per essere trasportato deve essere compresso ad una notevole pressione. Aumentandone la pressione, però, aumenta anche la temperatura, il che è molto rischioso, dato che l’idrogeno è altamente esplosivo. Un’altra possibilità di trasporto è in forma liquida, ma questo richiederebbe di raffreddarlo fino a -255° C, e mantenere la catena del freddo per tutto il tragitto. Inoltre l’idrogeno è molto reattivo, e corroderebbe delle tradizionali tubature in acciaio. Il trasporto dell’idrogeno, quindi, pone non pochi problemi di sicurezza e difficoltà tecnologica. Ed è qui che entra in gioco l’altra azienda protagonista di questa sperimentazione, l’olandese Strohm.
L’olandese Strohm è leader mondiale nella progettazione e produzione di tubi compositi per le più disparate applicazioni. E ha collaborato con Siemens Gamesa, fornendo le tubature per il trasporto dell’idrogeno dalle turbine alla terraferma. Essendo queste condotte sottomarine il rischio di incendi ed esplosioni, dovuto all’alta pressione era relativamente azzerato, ma una normale tubatura in acciaio sarebbe stata corrosa dall’idrogeno. Strohm ha perciò fornito i suoi TCP (termoplastic composite pipe), dei particolari tubi costituiti da tre strati.
Lo strato interno è in polimeri, poi c’è un rinforzo flessibile in materiali compositi e infine un rivestimento esterno in carbonio o fibra di vetro. Questi tubi possono resistere fino a quasi 700 bar di pressione. Inoltre la loro caratteristica è che i tre strati sono fusi ed estrusi insieme, per cui oltre a mantenere un’elevata flessibilità, il loro legame è resistente e duraturo quanto i materiali di base presi singolarmente. Inoltre, è possibile scegliere il materiale più adatto al tipo di applicazione e ai materiali con cui il tubo entrerà in contatto. Infine, stando a quanto dichiarato da Strohm, la produzione e installazione di questi tubi riduce le emissioni di CO2 del 50% rispetto a quelli d’acciaio.
Non c’è dubbio che l’eolico sia già di per se una fonte pulita di energia. Ma, come detto, i problemi sono l’efficienza e la possibilità di adattare la produzione alla richiesta di energia. Con questa nuova tecnologia non solo si avrà questa possibilità, immagazzinando l’energia in eccesso per poi usarla quando serve, ma si avrà anche una duplice forma di energia da un unica fonte.
L’idrogeno, infatti, può essere usato come vettore energetico, sfruttando il processo inverso dell’elettrolisi in una pila detta galvanica. In questo modo è possibile “riavere indietro” l’energia elettrica conservata nell’idrogeno, facendolo reagire con l’ossigeno generando acqua. Essendo il processo spontaneo, non richiede ulteriori spese energetiche, fornisce energia elettrica subito utilizzabile e ha come sostanza di scarto acqua pura. Ma l’idrogeno è anche il più pulito dei combustibili, perché l’unica sostanza di scarto della sua combustione è acqua pura, e potrebbe essere il carburante del futuro in molti mezzi di trasporto.
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