Da uno studio dell’Università di Pavia e dell’Università Tecnica di Dresda arriva una possibile soluzione ad uno dei principali problemi che caratterizza le celle fotovoltaiche più comuni, quelle in perovskite. Queste celle, infatti, sono caratterizzate da una scarsa densità energetica. Pertanto per ricevere quantità apprezzabili di energia si rendono necessarie una lunghissima esposizione al sole o un’enorme superficie delle celle. Ma adesso le cose potrebbero cambiare, e grazie al progetto congiunto dei due atenei potremmo essere in grado di creare celle ad alta efficienza.
Le celle solari sono costituite da uno strato di materiale ad alto coefficiente di assorbimento, collegato a delle resistenze elettriche. I fotoni, particelle di cui è costituita la radiazione luminosa, colpiscono la superficie, rilasciando elettroni che vengono immessi nel circuito sottostante dando vita ad una corrente elettrica. La superficie può essere realizzata in diversi materiali, alcuni dei quali più semplici da utilizzare, altri addirittura pericolosi.
Le prime celle solari furono realizzate in silicio, materiale abbondante in natura e poco pericoloso. Le celle potevano essere fatte in silicio monocristallino o policristallino. Le prime erano caratterizzate da un’efficienza più elevata con luce perpendicolare, le seconde da un miglior mantenimento dell’efficienza in condizioni di luce sfavorevole. Ai dispositivi di seconda generazione appartengono le celle in silicio amorfo idrogenato, caratterizzato da un’efficienza e una durata maggiori. L’efficienza delle celle al silicio si aggira intorno al 21%.
Il tellururo di cadmio è un composto cristallino formato da tellurio e cadmio, caratterizzato da elevata conducibilità elettrica e resistente a esposizioni prolungate alle alte temperature. Queste celle sono caratterizzate da un’elevata efficienza, superiore al 21%, ma il tellururo di cadmio è un materiale pericoloso e altamente tossico se non maneggiato con apposite apparecchiature, e in caso di incendio dell’impianto rilascerebbe sostanze altamente inquinanti in ambiente.
Il seleniuro di rame indio gallio (o CIGS, copper indium gallium selenide) è un semiconduttore metallico ad altissimo coefficiente di assorbimento della luce, ma che non si trova in natura. Le celle in CIGS sono al momento le più efficienti sul mercato, ma questo materiale è estremamente costoso da produrre.
Negli ultimi anni si stanno diffondendo le celle in perovskite. Le perovskiti sono una famiglia di minerali molto abbondanti in natura e quindi molto economici, anche se alcune di queste sono pericolose per la salute e l’ambiente. Il problema di queste celle è la scarsa efficienza energetica da cui erano fino ad ora caratterizzate.
La perovskite è un minerale costituito da titanato di calcio, cioè titanio, calcio e ossigeno (CaTiO3) ed è la capostipite del gruppo delle perovskiti. Questi sono dei minerali formatisi in seguito alla sostituzione del calcio con altre sostanze come sodio, terre rare, stronzio e niobio. Tutti questi minerali sono caratterizzati da un elevata conducibilità elettrica a temperatura ambiente, il che li rende ideali per la realizzazione di semi-conduttori, ma anche da un elevata tossicità.
Le celle fotovoltaiche fabbricate con questi minerali sono formate da uno strato attivo di perovskite, che è quello che assorbe elettroni dalla luce, depositato su uno strato di biossido di titanio, preposto al trasporto di elettroni. L’efficienza delle celle così costruite si aggira intorno al 18-20%.
Il progetto a cui hanno lavorato congiuntamente l’Università di Pavia e quella di Dresda, pubblicato anche sulla prestigiosa rivista Science, ha portato ad un risultato importantissimo. Era già noto che l’architettura standard richiede lavorazioni ad alta temperatura, aumentando il tempo di ritorno energetico e creando problemi nell’implementazione nel campo della piccola elettronica indossabile. Invertendo gli strati si risolve il problema della temperatura, ma si abbassa notevolmente l’efficienza delle celle, ed è proprio qui che entra in gioco questo nuovo progetto.
Gli esperti dei due atenei sono arrivati alla conclusione che è sufficiente aggiungere all’interfaccia tra perovskite e biossido di titanio una piccola quantità di alogenuri organici. Questi sono dei sali costituiti da un idrocarburo alifatico, carbossilico o aromatico legato ad un alogeno, che può essere fluoro, cromo, bromo o iodio. L’introduzione di questi sali riduce drasticamente la dispersione energetica e aumenta l’efficienza della cella. La sperimentazione ha portato ad un’efficienza del 23,7%, la più alta mai registrata per un cella in perovskite.
Questa è solo una delle grandi innovazioni che hanno recentemente coinvolto il settore fotovoltaico. Già a Novembre 2021, un altro studio, condotto dall’Helmholtz-Zentrum Berlin, studio specializzato in ricerca sui materiali, aveva realizzato una cella in silicio-perovskite. Queste celle sono costituite da una cella superiore in perovskite, e una inferiore a eterogiunzione di silicio.
La struttura a celle sovrapposte di materiali differenti consente di massimizzare l’assorbimento della radiazione solare. Queste celle hanno raggiunto l’efficienza record di 29,8%, la più alta mai registrata per un pannello solare. Secondo gli esperti, superare la soglia del 30% potrebbe essere lo step decisivo per rendere il fotovoltaico una fonte energetica realmente valida, in grado di sostituire i tradizionali impianti di alimentazione di edifici e abitazioni.
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