L’emergenza climatica in crescita degli ultimi anni sta influenzando il mondo in cui viviamo, non solo a livello ambientale ma anche politico, economico e sociale, facendo crescere la consapevolezza delle conseguenze disastrose che può avere. Una ulteriore conseguenza di questo enorme problema è la nascita dei cosiddetti rifugiati ambientali o eco-profughi, causati dal cambiamento climatico.
Ma qual è la definizione di rifugiato ambientale? La definizione è stata introdotta per prima negli anni ’70 da Lester Brown ma solamente nel 1985 venne riconosciuta a livello ufficiale grazie a El-Hinnawi, presidente dell’UNEP (Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente).
Nello specifico, vennero definite le figure di rifugiato ambientale come: “persone che sono state costrette a lasciare il loro habitat abituale, temporaneamente o per sempre, a causa di una significativa crisi ambientale (naturale e/o provocata da attività umane, come per esempio un incidente industriale, in questo caso riferito al cambiamento climatico) o che sono state spostate in via definitiva da significativi sviluppi economici o dal trattamento e dallo stoccaggio di scarti tossici, mettendo così a repentaglio la loro esistenza e influenzando gravemente la qualità delle loro vite”.
Quindi, si tratta di una categoria di persone costrette ad emigrare in cerca di una vita migliore a causa dei disastri ambientali che stanno avvenendo nel proprio paese.
Tra questi troviamo uragani, terremoti, tsunami, ma non solo, in quanto vengono identificati come disastri ambientali anche quelli provocati dall’uomo come, per esempio, l’utilizzo di sostanze inquinante che provocano un disastro ambientale o anche fenomeni come deforestazione e inquinamento del suolo e delle acque.
Si può dire che negli ultimi anni proprio a causa dell’eccessivo intervento antropico, questi fenomeni sono notevolmente aumentati il che ha portato ad un aumento anche dei cosiddetti rifugiati ambientali. Solo nel 2021 infatti, sono stati registrati circa 32,4 milioni di sfollati ambientali.
Inoltre, i dati evidenziano come i Paesi maggiorente interessati da questa problematica siano i paesi in via di sviluppo o del terzo mondo, paesi dove persiste la mancanza di organismi e normative statali che possano intervenire all’interno della questione, così come una mancanza dei mezzi per poter fronteggiare le seguenti avversità. Fra quelli maggiormente colpiti, difatti troviamo paesi dove oltre situazioni politiche instabili, troviamo anche un clima sfavorevole, ricco di eventi di siccità estrema. Stiamo parlando dei paesi dell’Africa, come Somali, Sudan e Repubblica Centrafricana.
Una tutela specifica internazionale relativa al rifugiato ambientale purtroppo non esiste, nonostante la Convenzione di Ginevra avuta nel 1951 in cui si è data la definizione di rifugiato, ma per cui si è preclusa la tutela specifica degli eco-profughi.
Non tutto è perduto però. Moltissimi enti internazionali si sono posti l’obiettivo di aiutare questa specifica minoranza, fra cui l’UNCHR (Un refugee agency). Nello specifico l’associazione vuole intervenire in aiuto dei soggetti interessati tramite assistenza sul campo, anticipando i possibili effetti e prevenendo il potenziale impatto climatico, dando supporto tecnico e legale ai paesi colpiti e promuovendo nuove ricerche che amplifichino i risultati in questo ambito, oltre che promuovere policy coerenti con altre norme adottate nei paesi colpiti da eventi climatici distruttivi.
Quali sono le prospettive future? Purtroppo, l’incremento degli eventi catastrofici legati al climate change non fa prospettare nulla di nuovo. Secondo l’UNEP, infatti, avremo una migrazione di circa 200/300 milioni di rifugiati ambientali nel 2050 e circa 50 milioni di sfollati ambientali nel 2060 solamente nel territorio africano, di cui fanno parte le aree più a rischio. Addirittura, secondo il Christian Aid le previsioni saranno addirittura più preoccupanti: gli eco-profughi nel 2050 saranno un miliardo.
Il problema dei rifugiati ambientali sopraggiunto negli ultimi anni oramai non è più trascurabile. I cambiamenti climatici legati all’impatto antropico, stanno facendo incrementare esponenzialmente il numero di disastri naturali e la mancanza di direttive internazionali specifiche rappresenta un problema non indifferente.
L’obiettivo futuro sarà quindi istituire delle direttive internazionali che mirino ad una tutela specifica delle vittime del climate change, oltre che migliorare la resilienza delle comunità vulnerabili, intensificando le attività sul campo e riducendo gli impatti ambientali.
A cura di Matilda Porro.
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