Sistema elettrico

Trasformatori, gli attori del trasferimento di potenza

Le macchine elettriche sono presenti in ogni ambito della vita. Anche il semplice alimentatore di un apparecchio elettronico è una macchina elettrica, statica in tal caso. Si tratta di un trasformatore che trasforma le grandezze elettriche dai valori di rete a quelli compatibili con l’apparecchio. I trasformatori sono le macchine elettriche con rendimenti più alti in assoluto, arrivando a sfiorare rendimento unitario.
Il percorso che va dalle centrali di produzione elettrica alle utenze passa per tanti trasformatori. Sistemati nelle isole e nelle cabine di trasformazione permettono il trasferimento di energia elettrica a migliaia di chilometri. Sono i veri attori dell’elettrificazione dei Paesi.

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Nei motori elettrici si ha trasferimento di potenza elettrica all’asse della macchina, con conseguente conversione in potenza meccanica. Nei generatori elettrici o alternatori, il trasferimento di potenza avviene dall’asse alla macchina, con conversione di potenza da meccanica ad elettrica. Nel primo caso la potenza viene prelevata dall’asse come coppia meccanica, nel secondo tramite i morsetti elettrici di output della macchina.
Nei trasformatori la potenza passa dal circuito primario al secondario, trasformata nelle sue grandezze elettriche tensione e corrente.

Principi di funzionamento delle macchine elettriche

Alla base del funzionamento delle macchine elettriche ci sono due leggi fisiche fondamentali. La loro formalizzazione risale agli anni 20 e 30 del XIX secolo, ad opera di Michael Faraday e André-Marie Ampére. Sono la legge dell’induzione elettromagnetica e la legge delle azioni elettrodinamiche.

La prima lega i concetti di forza elettromotrice e flusso di induzione magnetica: un flusso magnetico non costante, generato da una corrente variabile nel tempo in un conduttore, genera una forza elettromotrice indotta su un secondo conduttore. La forza elettromotrice è la causa della circolazione di corrente in un conduttore. La forza elettromotrice imprime il moto agli elettroni di conduzione del conduttore stesso e questa corrente produce un flusso magnetico. Ecco la legge di Faraday: un flusso variabile nel tempo genera una forza elettromotrice indotta, dunque una corrente, ossia un flusso, tale da opporsi alla variazione di flusso che l’ha causata. Il flusso magnetico di reazione avrà verso tale da sottrarsi o sommarsi al primo flusso. Se nel primo conduttore il flusso sta diminuendo, la corrente indotta nel secondo conduttore genererà un flusso concorde al primo, così da contrastarne la diminuzione d’intensità.

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La seconda legge lega invece i concetti di forza, corrente e campo di induzione magnetica: un conduttore percorso da corrente, immerso in un campo di induzione magnetica, vede comparire delle forze. Queste forze sono proporzionali al prodotto vettoriale tra i vettori corrente e campo di induzione magnetica. Dunque se il conduttore è libero di muoversi nello spazio questo tenderà a spostarsi ed orientarsi. Questa è la legge fondamentale alla base del funzionamento delle macchine elettriche rotanti. L’insorgenza delle azioni elettrodinamiche permette lo scorrimento relativo tra statore e rotore. Questi elementi sono dotati di cave, ossia di canali, all’interno delle quali trovano spazio i conduttori a formare le bobine. L’interazione tra le correnti che scorrono nelle bobine e i campi magnetici fanno sì che vengano generate coppie di forze tangenziali al rotore, così da indurne la rotazione.

Cenni costruttivi dei trasformatori

Costruire un trasformatore significa progettare i circuiti magnetico ed elettrico. Il primo circuito è quello che deve confinare il flusso magnetico generato dalle correnti che interessano il secondo circuito, quello elettrico. Ai fini di un efficiente confinamento delle linee di forza del campo magnetico si utilizzano materiali con adeguate proprietà magnetiche. L’indicatore della qualità magnetica di un materiale è la permeabilità magnetica. Il nucleo ferromagnetico è quello che infine determina la geometria della macchina. L’esempio più semplice è un nucleo ferromagnetico toroidale (una ciambella). Il circuito elettrico conta due avvolgimenti, o bobine, avvolti attorno al nucleo a formare un certo numero di spire avvolte. Il parametro di riferimento per gli avvolgimenti elettrici è la conducibilità elettrica. Sono quindi realizzati prevalentemente in rame o alluminio.

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Il parametro geometrico principale per dimensionare sia circuito magnetico che elettrico è la sezione. Il flusso magnetico è direttamente proporzionale al prodotto tra la sezione di passaggio e il campo di induzione magnetica. Essendo una grandezza scalare, se il versore della sezione di passaggio e il vettore induzione magnetica B sono paralleli, il flusso si può scrivere φ = S*B. Per far lavorare il nucleo magnetico a un determinato flusso, evitando l’ingresso in condizioni di saturazione magnetica, bisogna agire sulla sezione: imporre un campo B opportuno di lavoro e aumentare o diminuire la sezione in base al flusso ricercato.
La sezione del conduttore determina il modo in cui viene utilizzato il cavo. Ciò significa che a parità di corrente, sezioni minori determinano densità di corrente maggiori e per conseguenza maggiore dissipazione energetica per effetto Joule.

Rendimento e perdite di potenza dei trasformatori

Sono macchine elettriche statiche che hanno come caratteristica peculiare il rendimento. Non essendoci parti in movimento non sono neanche presenti perdite per attrito e il rendimento cresce all’aumentare della taglia della macchina. Può raggiungere valori molto prossimi all’unità, tant’è che il calcolo del rendimento va fatto prendendo in considerazione le perdite. Procedendo con il semplice rapporto tra le potenze, in uscita e in ingresso, potrebbero aversi rendimenti pari o maggiori dell’unità. Questo inconveniente deriva proprio dagli elevatissimi rendimenti di queste macchine, dove gli errori intrinseci agli strumenti di misura possono risultare non trascurabili.

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Il rendimento del trasformatore avrebbe l’espressione generica data dal rapporto:

η = Pu/Pi con Pu = potenza in uscita; Pi = potenza in ingresso.

A denominatore la potenza in ingresso può essere scritta come somma di potenza in uscita e potenza persa. In questo modo sicuramente il denominatore sarà maggiore del numeratore e il rendimento minore dell’unità.

η = Pu/(Pu+Pp) con Pp = potenza persa.

Dissipazioni di potenza nelle macchine elettriche statiche sono legate sia al circuito magnetico che elettrico: ciclo di isteresi; correnti parassite; effetto Joule; flussi dispersi.

Complessivamente, per macchine di grande taglia, le perdite totali sono inferiori all’1% della potenza nominale del trasformatore. Un rendimento maggiore di 0,990 può comunque comportare una dissipazione energetica quantitativamente rilevante. Se ad esempio il trasformatore ha una potenza nominale di 100 MVA (milioni di voltampere) e le perdite totali si attestano all’1%, vengono dissipati un milione di voltampere. Ciò significa che nonostante il rendimento prossimo all’unità, i trasformatori di grande taglia necessitano sistemi di refrigerazione molto efficienti.

Marco Filabozzi

Laureando in Ingegneria Energetica presso l'Università degli studi di Roma - La Sapienza. Sono particolarmente attratto dal mondo dell'energia nucleare. Dalle controversie che tale tema suscita è nata la voglia di contribuire in modo sano e imparziale alla divulgazione scientifica sui sistemi di produzione energetica e di come essi generino profondi livelli di interazione tra l'uomo e l'ambiente. Autore per #EnergyCue da maggio 2021

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